giovedì 21 agosto 2014

Giorno 21

Monaco, 17 agosto 2014

A Monaco tutto si ferma, il passato e il futuro si ritraggono lasciando il posto ad un eterno presente, un eterno hic et nunc. A Monaco tutto svanisce, i monasteri ortodossi e i minareti turchi, le donne rumene e quelle francesi. Nulla di tutto questo esiste più: a Monaco c'è solo Monaco. 
Uscire dalla Hauptbhanhof (la Stazione Centrale) racchiude in sé una misteriosa duplice magia, come di uscita dal grembo materno e al tempo stesso ritorno al nido, al monte, all'essenza.
La Baviera ci accoglie bene, è una bella domenica di sole e presto capiamo che non a caso siamo capitati qui in un giorno festivo. Due delle nostre tre tappe fisse, il negozio di giocattoli e l'immensa libreria, sono chiuse (la terza, l'Hofbrauhaus, non chiude mai) e questo ci dà più tempo del solito per girare la città. Le ultime due volte a Monaco, infatti, ci hanno permesso di vedere ben poco. 

Passeggiamo fino all'enorme giardino inglese, dove centinaia di famiglie trascorrono la domenica, tra gruppi di ragazzi che lanciano frisbee, gruppi multietnici che suonano musiche tribali, e persino decine di uomini di mezza età completamente nudi. Il prato è attraversato da un corso d'acqua che seguiamo fino all'estremità opposta. Qui, ai piedi di una specie di pagoda, tavoli e tavoli pieni di carne, bretzel e birra. Ne approfittiamo per bere qualcosa e dividerci un bretzel, accompagnati dalla musica suonata da un gruppo in cima alla pagoda. Tutto intorno a noi sa di vita, compreso il tavolo di tedesche ultrasettantenni accanto al nostro.
Camminando ad un metro da terra, percorriamo una via alternativa per tornare indietro, fermandoci come molti altri ad ascoltare la musica tribale. Il ritmo incalzante delle percussioni arrangiate ispira anziane e giovani bellezze al ballo più sfrenato.
Dobbiamo mangiare presto e dunque facciamo rotta verso la zona dell'Hofbrauhaus, con una piccola deviazione per Odeonsplatz. Ci imbattiamo, attraversando un parchetto, in un tempietto circolare adibito a pista ad ballo, dove coppie di ogni età si lanciano in incredibili performance danzanti. La musica, i colori e persino le acconciature ci danno in qualche modo la sensazione di essere tornati indietro nel tempo, e per un po' ci lasciamo trasportare dal sogno...

Non vi è modo, né in questa né in altre lingue, di descrivere la cena che ci godiamo. Il menù, però, è sempre lo stesso: stinco di maiale, bretzel e litro di birra. Deve essere così che si nutrono gli dei. Un solo elemento di disturbo riesce, per un minuscolo istante, a rompere l'incanto ravvivando forte in noi il desiderio dello schiaffo e del pugno. Una comitiva italiana dall'accento lombardo ci si siede accanto, chiedendoci di aiutarla nella traduzione del menù dal tedesco. Aiuto che neghiamo loro categoricamente quando la bionda signora seduta vicino a Siso domanda: "C'è la cotoletta alla milanese?"
Per fortuna si spostano poco dopo, riunendosi al resto della loro degenerata compagnia. 
Sfamati e contenti facciamo un giro di Monaco al chiaro di luna, ribadendo ad ogni passo la nostra ferma volontà di dedicarle nel prossimo futuro ben più che una semplice giornata.
Tornando in stazione ci fermiamo ad assistere all'esibizione di un artista di strada in grado di alternare performance canore di livello a spassose gag in lingua inglese, costituite perlopiù da insulti "razzisti" legati alle diverse nazionalità del pubblico presente. 

In stazione viviamo l'ultima (dis)avventura del viaggio. Arriviamo praticamente un secondo prima che parta il nostro treno per Venezia, appena in tempo per scoprire che avremmo dovuto pagare qualche euro per riservarci il posto. I vagoni sono tutti pieni, e i controllori non fanno strappi alle regole. Di per sè non sarebbe un gran problema, se non fosse che abbiamo da giorni preso appuntamento a Venezia con Morgan che, col sistema BlaBlaCar, ci porterà a Roma in macchina. 
Ecco allora che le nostre giovani menti, ormai avvezze a districarsi in simili spinose situazioni, si mettono in moto per incastrare treni, autobus, carrozze, monopattini, skilift e deltaplani di mezza Europa. Non è mangiando fettine panate che siamo cresciuti, ed ecco che tutto si sistema esattamente al posto giusto: in fondo alla notte vediamo Venezia.



Siamo arrivati alla fine anche questa volta. Abbiamo resistito due lunghi anni lontani dalle stazioni e dall'asfalto dell'Europa ed ora che tutto sta finendo sentiamo già la spinta verso la prossima partenza. E' giusto, però, lo sentiamo, tornare a casa adesso. Tornare per dare il tempo al corpo e agli occhi di assimilare le meraviglie viste, i segreti svelati, le verità apprese e anche i dubbi sorti.
Dal viaggio si torna più ricchi, in qualche misura più esperti delle cose del mondo, e soprattutto più consapevoli. Fuori dai cuscini delle nostre stanze c'è tutta una realtà in cui un bicchiere d'acqua vale più di qualunque cosa, in cui l'ultimo dei disperati diventa il primo se non l'unico a cui affidarsi, in cui la notte fa freddo anche se è agosto. 

La notte...
E' lei la nostra compagna più fedele, in ogni anfratto del globo seduta ad aspettarci, dietro l'angolo o dietro la montagna. Dolce e cruda, sbronza e placida. 
Ora sì, ora lo sappiamo: qualunque sia la destinazione, qualunque sia il mezzo di trasporto, qualunque somma tu abbia in tasca o sogni in testa, il viaggio è sempre diretto al termine della notte.

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