mercoledì 6 agosto 2014

Giorni 9 e 10

Istanbul-Bucharest, 5/6 agosto 2014

Il nono giorno prelude ad un tour de force che nel giro di qualche notte ci porterà fino a Budapest. Per questo decidiamo di goderci la mattinata in ostello senza impostare sveglie o simili. A tirarci su dal letto, però, come se non bastasse il viavai dovuto al bagno, ci si mettono i crampi della fame, così forti da costringerci a fare colazione con un pacchetto di TUC al formaggio.
Ci godiamo anche l’ultima doccia prima di riprendere le strade di Istanbul. Salutiamo la tizia dell’ostello che, purtroppo, si ricorda che gli dobbiamo dei soldi costringendoci ad attingere dal nostro fondo tutt’altro che illimitato. Il caldo di mezzogiorno rende l’aria quasi irrespirabile, ecco perché il tragitto in tram con l’aria condizionata ci sembra improvvisamente la cosa migliore delle nostre vite.
Scendiamo alla stazione per depositare gli zaini nelle cassette di sicurezza, non prima di esserci informati sul percorso che dovremo fare stanotte verso Bucarest. Ecco fatto, l’omino della stazione ci informa che il nostro treno, il Bosphorus Express, è in riparazione e pertanto sostituito da un complicato tratto che prevede un paio di pullman e un treno. La tristezza è tutta di Siso, fremente all’idea di prendere il famoso e spettacolare treno turco.
Alle cassette di sicurezza veniamo avvicinati da un barcollante indigeno che dopo averci aiutato, ci chiede del denaro come nella più normale delle stazioni metro di Roma. Denaro, però che non possediamo. Bello mio, almeno te stai ‘mbriaco!
Il sole rischia davvero di incendiarci la testa e quindi andiamo a fare scorte d’acqua in un parco poco lontano, che attraversiamo per arrivare all’ingresso di Santa Sofia. L’ultima curva ci rivela, però, una fila immane che sembra tagliare a metà l’intera città. La guardia giurata, interrogata sugli orari del museo, ci risponde consigliandoci di passare per le 16. Molto bene.
Ne approfittiamo per mangiare e troviamo rapidamente un posto abbastanza conveniente. Abbiamo le nostre scorte di acqua e quindi non prendiamo da bere, ma il proprietario del posto decide di superare ogni livello di infamità mai raggiunto nella storia piazzandoci davanti, su un tavolo vuoto, un bicchiere di splendida acqua con ghiaccio. Figlio di puttana.
Dopo mangiato abbiamo ancora tempo da perdere e ci concediamo qualche sfizio, in particolare Siso con una lattina di coca e Andrea con un gelatino carino, preparato come il giorno prima tra i giochi di prestigio di  Mimmo. L’acqua è presto finita e torniamo a fare il carico. Ignoriamo volutamente il suo sapore un po’ strano perché ci disseta e tanto basta. Quale flagello si stesse abbattendo su di noi lo avremmo scoperto solo più tardi. Nei pressi della fontanella ci imbattiamo nell’esposizione di una famiglia di artisti locali. Alcune opere sono particolarmente belle e ci rallegra la scoperta  che la loro versione in poster è in vendita per pochi spicci. Pochi per chiunque, ma non per noi, che decidiamo di rimandare l’acquisto a più tardi, quando l’entità delle nostre residue finanze ci dirà se possiamo davvero permetterci un simile lusso. Fattesi quasi le 16 ci dirigiamo verso Santa Sofia. Il consiglio della guardia giurata si rivela azzeccato e riusciamo a entrare dopo una breve fila che nulla ha a che vedere con il serpentone della mattina. All’interno ci aspetta una delle massime espressioni dell’incontro tra la religione cattolica e quella musulmana; la struttura, adibita a museo negli anni ’30 dal mitico Ataturk, nacque come chiesa cattolica, per poi essere convertita in moschea. All’interno elementi di entrambe le religioni coesistono fianco a fianco. Su tutti spicca l’abside, che al centro ospita un mosaico della Madonna e Gesù bambino affiancati da imponenti dischi con sopra raffigurati gli epiteti di Allah e Maometto. Prima di uscire c’è tempo anche per il momento tenerezza, con una cucciolata di gattini appena nati che giocano sotto gli occhi della mamma e che presto, non ce ne vogliano Allah e tutti i santi, monopolizzano l’interesse della maggior parte dei visitatori.  Usciamo da Santa Sofia e il nostro desiderio di conservare un poster dell’esposizione  supera la tacita promessa di non cambiare  altri euro in lire turche, così torniamo lì e ognuno di noi ne sceglie uno  da portarsi a casa. Prima di recuperare gli zaini facciamo un’ultima tappa per riempire le scorte d’acqua, poi trascorriamo  del tempo in stazione leggendo o riposando fino a che il tipo delle pulizie non ci fa alzare per adempiere al suo dovere in occasione di uno spettacolo di Dervisci previsto per le 19.30. E’ giusto così, è ora di cena. Ci rechiamo al porto sperando in un panino col pesce di quelli che abbiamo sperimentato il primo giorno, ma troviamo invece una piacevole sorpresa: su un banchetto che non avevamo notato, un simpatico signore che parla solo turco che, con dei fantastici panini con uova o formaggio e un vasto assortimento di verdure crude, ci fa venire l’acquolina in bocca e ci mette tutti d’accordo riguardo la cena.  Volevamo un succo d’arancia fatto espresso da uno degli ambulanti del luogo, ma, non trovandone nessuno, ci accontentiamo di una limonata in un chioschetto; dove facciamo anche delle scorte per la notte. Nel tempo che ci rimane prima dell’arrivo del pullman, facciamo la conoscenza di un gattino che si accoccola sulle gambe di Siso e  ci fa compagnia fino alla nostra partenza. Ci affezioniamo talmente tanto che lo battezziamo con ben tre nomi: Antonio Bennato, Fabri Fibra e Borsino. Oltre al micio incontriamo il buon vecchio Ismael, che sta andando a Sofia e con il quale condivideremo un paio di pullman.
Il lungo viaggio inizia male, almeno per Andrea che comincia da subito ad avvertire un malessere di stomaco, tanto che alla prima provvidenziale sosta ne approfitta per vomitare come il peggiore degli alcolizzati. Passano le ore e ci troviamo nella stessa stazione in mezzo al nulla in cui eravamo passati pochi giorni fa. Qui conosciamo Laurent, un belga che ha fatto l’Erasmus a Roma e quindi parla molto bene l’italiano. Ci facciamo amicizia, tanto che ci promette di ospitarci e scarrozzarci lui stesso se dovessimo capitare in Belgio. Un grande. Il secondo pullman fa una sosta al bagno che stavolta battezza Siso e il successivo, che ci separa da Ismael e dal buon Laurent, è quello di Casty. Stiamo male e la causa è facilmente individuabile: l’acqua delle fontane di Istanbul non è esattamente potabile. Bei coglioni, direte voi, e infatti lo siamo.
Piegati da crampi allo stomaco e sudori freddi combattiamo la Maledizione di Ataturk fino al treno che ci trasporterà per gli ultimi chilometri che ci separano dalla capitale romena. Lì il caldo quasi ci distrae dai nostri dolori e in qualche ora siamo a Bucarest. Qui ci accoglie una stazione diversa da tutte quelle che abbiamo incontrato finora e solo una genialata di Siso riesce a descriverla: “E’ come se la stazione di Monaco avesse fatto un figlio con quella di Paleofarsalos.”
Nel giro di pochi minuti siamo nell’ostello, dove ci accolgono una ragazza molto carina e sua madre.
Ci laviamo dopo 20 ore di strada e la voglia di vedere la città ci spinge ad uscire. A frenarci, invece, è la pioggia improvvisa che si abbatte su di noi, costringendoci a fare una misera spesa al vicino mini-market. Altrettanto improvvisamente, però, i piani di Giove Pluvio per noi ci appaiono chiari quando, entrando nel negozio, scorgiamo la scollatissima dea che lavora in cassa.
Usciamo da lì vagamente turbati e in camera consumiamo una modesta cena con modesto alcol.
In fondo, a noi, cos’altro serve? 




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