lunedì 11 agosto 2014

Giorno 12

Sibiu, 8 agosto 2014


Il viaggio in treno che dalla capitale rumena ci porta a Sibiu non merita particolari menzioni, eccezion fatta per la singolare scomodità dei posti a sedere, apparentemente pensati più per tenere vigili i passeggeri che per farli addormentare, caratteristica non delle migliori per un treno notturno. Ci “svegliamo” quindi a Sibiu, città dalla grande storia nel cuore della Transilvania. Le distanze sono irrisorie e in pochi passi dalla stazione, seppur con gli zaini in spalla, ci troviamo in pieno centro storico, nella Piazza Grande, ancora semideserta nel giorno appena nato. Qui ci buttiamo sulle panchine e aspettiamo che la stanchezza della notte ci scivoli via. La piazza, come tutta la città, comincia a mano a mano a popolarsi di indigeni e turisti, preceduti dai piccioni, mentre fervono i preparativi per la festa cittadina che si tiene proprio in questi giorni.
Consigliataci da tutti come imperdibile, Sibiu rispetta le aspettative, con la sua caratteristica architettura pesantemente influenzata dalla lunga appartenenza all’Impero austroungarico, tanto da farci credere di essere magicamente capitati nei pressi di Vienna: tutto è in perfetto ordine, i muri sono immacolati e in terra non c’è l’ombra di una cicca. Ci mettiamo relativamente poco per fare un giro completo del centro storico e delle sue attrazioni, perciò prima di pranzo ripieghiamo sul museo cittadino, che ospita un’esposizione temporanea di Salvador Dalì intitolata “La Divina Commedia”, che raccoglie le sue stampe sul poema dantesco. Tra brontolii di stomaco e qualche crampo, la fame ci riporta in strada e il sesto senso ci conduce al mercato cittadino, ben nascosto, ma non abbastanza per chi in quel momento mangerebbe un intero “Casty col ragù”. Tra i vari banchi, tutti riforniti di leccornie locali, la nostra scelta cade su un classico intramontabile: pane e cacio. “A Dragonbò, ma che m’hai dato? Er sushi?!”  Acquistiamo il tutto in formula componibile, ovvero mezza forma di pane e mezza di formaggio e, impazienti di sfoderare il coltello di Andrea, ci dirigiamo in piazza per cominciare la sacra cerimonia di preparazione dei panini. Spazzoliamo tutto quanto in quattro e quattr’otto, contenti e finalmente sazi; cibo semplice e di qualità, impossibile chiedere di meglio.
Il pomeriggio scorre tranquillo; passato soprattutto nella piazza principale a leggere, tra le prove generali del concerto di quella sera e qualche sgrullata di pioggia, non annoveriamo niente di speciale nel nostro racconto, ma ogni tanto è anche giusto allentare la corda e sapersi godere un po’ di ristoro, per esempio aggiungendoci una birra gelata.
In men che non si dica si fa sera. Ceniamo con un pasto che ad Andrea e Siso fa cadere un paio di lacrime tanto ricorda le passate avventure scandinave, sardine in scatola con salsa di pomodoro (sprot in sos tomat per i locali). Casty in principio è diffidente, ma alla fine cede agli ammiccamenti di un tale piatto da gourmet. Consumiamo questa cena nostalgica nella Piazza Grande, ormai diventata quasi nostra, godendoci l’esibizione di un gruppo folk del luogo, assai coinvolgente e piacevole.
Spinti forse dalla paura di perdere il treno, o dalla nostra sconfinata passione per le locomotive, oppure da semplice e pura pazzia, ci dirigiamo alla stazione con ben quattro ore di anticipo, minuto più minuto meno, per prendere il nostro treno delle 3 (antimeridiane, mica pizza e fichi) per Timisoara. Probabilmente al mattino erano stati la stanchezza e gli occhi gonfi a non farci notare lo stridente contrasto tra il centro storico e la stazione ferroviaria, a dir poco sporca e grottesca, nonché popolata da gente che, vista la geografia, può probabilmente vantare qualche antica parentela con il conte Dracula. A rendere il tutto ancora più piacevole ci pensa un freddo di quelli che si sentono fin nelle ossa. Ci addormentiamo allora sulla banchina del nostro binario, svegliati di tanto in tanto dall’addetto allo svuotamento dei cestini, che intavola con Casty un surreale scambio di versi.
Alla fine le vicissitudini ne hanno abbastanza di giocare con noi e il nostro treno ascolta le nostre invocazioni, arrivando in stazione con quasi un’ora di anticipo con il chiaro intento di salvarci  dall’ipotermia e permetterci di continuare il viaggio; mai fischio fu meglio accolto. Ci trasciniamo al suo interno e, preso posto, cadere tra le braccia di Morfeo è un attimo.

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