giovedì 21 agosto 2014

Giorno 21

Monaco, 17 agosto 2014

A Monaco tutto si ferma, il passato e il futuro si ritraggono lasciando il posto ad un eterno presente, un eterno hic et nunc. A Monaco tutto svanisce, i monasteri ortodossi e i minareti turchi, le donne rumene e quelle francesi. Nulla di tutto questo esiste più: a Monaco c'è solo Monaco. 
Uscire dalla Hauptbhanhof (la Stazione Centrale) racchiude in sé una misteriosa duplice magia, come di uscita dal grembo materno e al tempo stesso ritorno al nido, al monte, all'essenza.
La Baviera ci accoglie bene, è una bella domenica di sole e presto capiamo che non a caso siamo capitati qui in un giorno festivo. Due delle nostre tre tappe fisse, il negozio di giocattoli e l'immensa libreria, sono chiuse (la terza, l'Hofbrauhaus, non chiude mai) e questo ci dà più tempo del solito per girare la città. Le ultime due volte a Monaco, infatti, ci hanno permesso di vedere ben poco. 

Passeggiamo fino all'enorme giardino inglese, dove centinaia di famiglie trascorrono la domenica, tra gruppi di ragazzi che lanciano frisbee, gruppi multietnici che suonano musiche tribali, e persino decine di uomini di mezza età completamente nudi. Il prato è attraversato da un corso d'acqua che seguiamo fino all'estremità opposta. Qui, ai piedi di una specie di pagoda, tavoli e tavoli pieni di carne, bretzel e birra. Ne approfittiamo per bere qualcosa e dividerci un bretzel, accompagnati dalla musica suonata da un gruppo in cima alla pagoda. Tutto intorno a noi sa di vita, compreso il tavolo di tedesche ultrasettantenni accanto al nostro.
Camminando ad un metro da terra, percorriamo una via alternativa per tornare indietro, fermandoci come molti altri ad ascoltare la musica tribale. Il ritmo incalzante delle percussioni arrangiate ispira anziane e giovani bellezze al ballo più sfrenato.
Dobbiamo mangiare presto e dunque facciamo rotta verso la zona dell'Hofbrauhaus, con una piccola deviazione per Odeonsplatz. Ci imbattiamo, attraversando un parchetto, in un tempietto circolare adibito a pista ad ballo, dove coppie di ogni età si lanciano in incredibili performance danzanti. La musica, i colori e persino le acconciature ci danno in qualche modo la sensazione di essere tornati indietro nel tempo, e per un po' ci lasciamo trasportare dal sogno...

Non vi è modo, né in questa né in altre lingue, di descrivere la cena che ci godiamo. Il menù, però, è sempre lo stesso: stinco di maiale, bretzel e litro di birra. Deve essere così che si nutrono gli dei. Un solo elemento di disturbo riesce, per un minuscolo istante, a rompere l'incanto ravvivando forte in noi il desiderio dello schiaffo e del pugno. Una comitiva italiana dall'accento lombardo ci si siede accanto, chiedendoci di aiutarla nella traduzione del menù dal tedesco. Aiuto che neghiamo loro categoricamente quando la bionda signora seduta vicino a Siso domanda: "C'è la cotoletta alla milanese?"
Per fortuna si spostano poco dopo, riunendosi al resto della loro degenerata compagnia. 
Sfamati e contenti facciamo un giro di Monaco al chiaro di luna, ribadendo ad ogni passo la nostra ferma volontà di dedicarle nel prossimo futuro ben più che una semplice giornata.
Tornando in stazione ci fermiamo ad assistere all'esibizione di un artista di strada in grado di alternare performance canore di livello a spassose gag in lingua inglese, costituite perlopiù da insulti "razzisti" legati alle diverse nazionalità del pubblico presente. 

In stazione viviamo l'ultima (dis)avventura del viaggio. Arriviamo praticamente un secondo prima che parta il nostro treno per Venezia, appena in tempo per scoprire che avremmo dovuto pagare qualche euro per riservarci il posto. I vagoni sono tutti pieni, e i controllori non fanno strappi alle regole. Di per sè non sarebbe un gran problema, se non fosse che abbiamo da giorni preso appuntamento a Venezia con Morgan che, col sistema BlaBlaCar, ci porterà a Roma in macchina. 
Ecco allora che le nostre giovani menti, ormai avvezze a districarsi in simili spinose situazioni, si mettono in moto per incastrare treni, autobus, carrozze, monopattini, skilift e deltaplani di mezza Europa. Non è mangiando fettine panate che siamo cresciuti, ed ecco che tutto si sistema esattamente al posto giusto: in fondo alla notte vediamo Venezia.



Siamo arrivati alla fine anche questa volta. Abbiamo resistito due lunghi anni lontani dalle stazioni e dall'asfalto dell'Europa ed ora che tutto sta finendo sentiamo già la spinta verso la prossima partenza. E' giusto, però, lo sentiamo, tornare a casa adesso. Tornare per dare il tempo al corpo e agli occhi di assimilare le meraviglie viste, i segreti svelati, le verità apprese e anche i dubbi sorti.
Dal viaggio si torna più ricchi, in qualche misura più esperti delle cose del mondo, e soprattutto più consapevoli. Fuori dai cuscini delle nostre stanze c'è tutta una realtà in cui un bicchiere d'acqua vale più di qualunque cosa, in cui l'ultimo dei disperati diventa il primo se non l'unico a cui affidarsi, in cui la notte fa freddo anche se è agosto. 

La notte...
E' lei la nostra compagna più fedele, in ogni anfratto del globo seduta ad aspettarci, dietro l'angolo o dietro la montagna. Dolce e cruda, sbronza e placida. 
Ora sì, ora lo sappiamo: qualunque sia la destinazione, qualunque sia il mezzo di trasporto, qualunque somma tu abbia in tasca o sogni in testa, il viaggio è sempre diretto al termine della notte.

mercoledì 20 agosto 2014

Giorno 20

Fiume, 16 agosto 2014

Fiume è l'ultima fermata prima di arrivare a Monaco, tappa sacra dell'InterRail come già vi abbiamo raccontato. La giriamo sospinti dal vento, stanchi all'inverosimile e infreddoliti da fame e stanchezza. 
La città non ci piace granché e il fatto che al mercato non ci regalino del cibo come a Spalato non migliora di certo la nostra opinione. Nemmeno il castello offre particolari emozioni e i 560 scalini che percorriamo per raggiungerlo sono di gran lunga più affascinanti del panorama che da lassù si ammira. 
Il Korzo (corso), ad ogni modo, si lascia piacevolmente camminare, e le montagne alle spalle della città offrono qualche scorcio da cartolina.  
Già delusi dalla mediocrità di Fiume, diamo il colpo di grazia alla giornata contando i pochi soldi croati che ci sono rimasti. 
Abbiamo un "Fondo Monaco", intoccabile, che significa stinco di maiale e litro di birra. Un secondo fondo, il "Fondo Morgan", ci servirà per il rientro a Roma.
In soldi croati abbiamo l'equivalente di una decina di euro da farci bastare, in due, per pranzo e cena. Unica luce: il boccione da 5 litri, battezzato con il nome di Voda, ormai svuotato dell'acqua distillata finita a Spalato e riempito ad una (stavolta affidabile) fontanella. Se non altro, sembra che anche oggi non saremo tentati di entrare nelle chiese per dissetarci con l'acqua santa.
Passiamo il pomeriggio a pensare come sfruttare al meglio il denaro rimasto, rimproverandoci gli inutili vezzi dei giorni precedenti. All'improvviso Fiume si trasforma in Christiania di Knut Hamsun, l'Oslo del capolavoro "Fame", e il tempo sembra dilatarsi all'inverosimile mentre sentiamo lo stomaco contorcersi al ritmo incessante di gorgoglii imploranti. 
Sul far della sera, un Siso un po' John Nash e un po' Cristo riesce ad incastrare le poche monete rimaste in una cena miracolosa che ci rimette al mondo.
Siamo pronti e carichi per la notte che, secondo le nostre fonti, passerà per intero su un curioso treno che da Fiume arriva fino a Monaco. C'è fonte e fonte, però, e la nostra non si rivela così affidabile.
Dopo poche ore di viaggio ci fanno scendere dal treno: siamo in Austria. Davanti a noi, sul binario più vicino, sul fianco di un treno leggiamo la scritta "Munchen Hbf". La seguiamo simili a mosche in picchiata su una lampadina e, come tali, ci schiantiamo. Non sul vetro, ma su una schiera di mini-austriaci pelati dalla faccia cattiva che sentenziano con un sorriso beffardo. "No reservation, no place!"
Facciamo i conti con la realtà, pronti ad attraversare lo stesso inferno pur di arrivare in Baviera. Ci rendiamo conto di essere a Villach, la città di Lena e Selina, e non possiamo fare a meno di notare che il Karma, se esiste, ha un fottuto senso dell'umorismo. Insieme ad una piuttosto ampia compagnia di sbandati come noi, ci troviamo a cercare di prendere sonno con la testa sugli zaini e la schiena sul pavimento della stazione. 
Nota per i lettori: in Austria, di notte, anche ad agosto fa un freddo porco. 
Il nostro treno parte alle 7, ma alle 5 siamo già, o ancora, in piedi (in particolare Andrea, svegliato di colpo da un incubo: "Siso mortacci tua, ho sognato che mi perdevi lo zaino!").
Al piano di sotto della stazione, una specie di pub fa orario continuato. Fa caldo, servono birra, e c'è un tavolo pieno di squinzie: non sedersi sarebbe da sciocchi. 
Facciamo colazione con birra e patatine mentre, sopra di noi, il cielo comincia a schiarirsi e il sole fa la sua comparsa sopra le montagne, puntuale come sempre, puntuale come il treno per Monaco.


martedì 19 agosto 2014

Giorno 19

Spalato, 15 agosto 2014

La notte in treno non fa minimamente rimpiangere la comodità del letto di Ljubljana. A svegliarci sono i panorami meravigliosi della costa croata, illuminati da un pallido sole che promette una splendida giornata. Città, ma sarebbe meglio dire villaggi, incastrati tra il mare e le montagne si susseguono fuori dal finestrino rendendo dolce il nostro mattino più di quanto avrebbe fatto una qualunque colazione.  
Detto questo, però, non si vive di soli panorami e allora, dopo esserci cambiati e attrezzati per la giornata, provvediamo a mettere zuccheri in corpo con un paio di cornetti. Sono appena le 7, ma siamo stracarichi e pronti a tutto.
La città è davvero piccola e ancor più piccola ne è la parte culturalmente più rilevante. Decidiamo di dedicare a quest'ultima l'ancora ampia mattinata, per poi passare la restante parte del giorno a rilassarci sfruttando il bellissimo mare che si stende tra noi e l'Italia.
Attraversiamo le mura del Palazzo di Diocleziano, da intendersi non come singolo edificio, bensì come vero e proprio quartiere storico. Raccolto tra mura, ne apprezziamo le quattro porte (Aurea, Argentea, Ferrea e Bronzea) e saliamo sul campanile della chiesa per abbracciare con gli occhi l'intera città. Ci lasciamo trasportare dagli stretti vicoli che fanno sembrare Spalato uno di quei paesi disseminati nel centro e nel sud dello stivale. Attraversiamo anche il mercato dove ci regalano assaggi di uva e fichi.
La nostra guida Lonely Planet ci consiglia un preciso punto in cui godersi il mare ma noi, in direzione ostinata e contraria, ci rechiamo da tutt'altra parte. Non prima, chiaramente, di aver fatto la spesa per il pranzo, impreziosita da un boccione d'acqua da 5 litri (troppo tardi rivelatasi distillata) e un cartone di vino rosso degno di noi (una specie di Tavernello locale). Seguendo il lungomare di cemento ci siamo spinti fino alla verde collina che sembra proteggere l'intera Spalato prima di tuffarsi nell'acqua dell'Adriatico.
Prendiamo posto sotto un albero che, spaventosamente piegato, fa ombra ad una buona porzione del grosso scoglio che ci ospita. Intorno a noi ci sono piccoli gruppetti di turisti, una famiglia di tedeschi e anche qualche locale, ma la nostra attenzione viene completamente catturata da tre ragazze francesi meravigliosamente in topless. Fanculo, Lonely Planet!
Per raffreddare corpi e animi ci gettiamo in acqua, battezzando il viaggio con il primo bagno nella storia dei nostri InterRail. Mentre la fredda carezza dell'acqua salata ci culla e ci purifica, il sole ormai alto ci brucia le spalle e la schiena, ce ne freghiamo stupidamente pronti a pagarne le atroci conseguenze.
Il pomeriggio scorre così, dopo un pasto frugale innaffiato dall'elegante vinello, nuotando un po' in mare e un po' nelle pagine dei nostri libri (senza trascurare le francesi, sia ben chiaro).

Affamati, torniamo in città dove il salutare e raffinato spuntino prevede gelato e birra, la coppia dell'anno.
Il nostro treno parte abbastanza presto, dandoci appena il tempo di mangiare seduti sul pavimento appiccicoso della stazione. La notte sarà spezzata da un cambio di treno alla stazione di Ogulin, ma quello che entrambi temiamo di più non è la stanchezza: sono le ustioni.




domenica 17 agosto 2014

Giorno 18

Ljubljana-Zagabria, 14 agosto 2014

Il risveglio non è certo dei più facili. Il telefono suona alle 6, con buona pace dei nostri compagni di camerata (altri due oltre a Massimo). Raccattiamo le nostre cose alla debole luce che filtra dalla finestra. Non fiatiamo, e da sottofondo ci fa il rumore incessante e minaccioso della pioggia. Aprendo la porta svegliamo Massimo, che ci saluta augurandoci buona fortuna e buon viaggio. Ci tuffiamo (è il caso di dirlo) in strada senza troppe esitazioni, le gambe sono ancora addormentate e gli zaini sembrano pesare il doppio del solito. Facciamo una breve deviazione alla piazza del mercato, dove compriamo un litro di latte fresco da un fantastico distributore automatico. Sorseggiando la nostra colazione percorriamo a ritroso la lunga via che unisce la stazione al centro. Incredibilmente puntuali, ci ripariamo dalla pioggia sulla banchina del binario 6. Dal freddo, invece, non c'è riparo, e quando scopriamo che il nostro treno tarderà di cinquantacinque minuti, pensiamo bene di andare a rintanarci nella stazione vera e propria. È così bello che ci addormentiamo ma, dimostrando ancora una volta una precisione sovrumana, ci svegliamo in tempo per il nostro treno. La puntualità, peró, si rivela una volta per tutte essere roba da stupidi. Il nostro treno ha recuperato qualche minuto sul ritardo ed è già partito. In un certo senso non siamo noi ad aver perso lui, ma lui ad aver perso noi. Il percorso alternativo che siamo costretti a fare è più lento, più scomodo e più complicato, ma c'è e tanto ci basta. 
A Zagabria fa freddo, ma almeno non piove. Attraversiamo il centro in lungo e in largo, dalla Cattedrale dell'Assunzione della Beata Vergine Maria, ricostruita dopo il terremoto del 1880, alla chiesa di San Marco, con il particolare tetto di mattonelle colorate. Per puro caso ci imbattiamo in un pub meraviglioso, la Tolkien's House, ispirato in tutto e per tutto alle opere del genio inglese. Il freddo e i problemi intestinali che da Istanbul non ci hanno più lasciato, ci sconsigliano di prendere birre, portandoci a preferire bevande calde, che ci infuocano la gola e il petto di rinnovata energia e profonda fede. La città non è grandissima, ma comunque ci riempie la giornata. Dopo una rapida cena siamo di nuovo in treno. Ad attenderci, a sud, c'è Spalato.

Giorno 17

Ljubljana, 13 agosto 2014

Il giorno 17 comincia molto prima del previsto, ma forse sarebbe meglio dire che il giorno 16 è finito molto più tardi di quanto legittimamente prevedibile. Non riusciamo a deciderci, fatto sta che tutto precipita in meno di un'ora. Sul primo dei due treni che avrebbero dovuto portarci a Ljubljana, siamo nello scomparto a 6 posti con due biondine, che Casty tenta subito di uccidere nel goffo tentativo di riporre lo zaino sulla cappelliera sopra le loro teste. Passano la prima parte del viaggio a fare test di simulazione per l'esame della patente, e da ciò ne deduciamo la giovanissima età. Il controllore, un giovane austriaco che avevamo già inquadrato come stronzo dopo un breve quanto scortese colloquio con Siso, riscontra nei loro biglietti un qualche problema. Le ragazze ci spiegano di avere una specie di pass che, a quanto pare,  non vale per il treno su cui sono appena salite. Per questo, l'infame controllore le costringe a scendere alla prima fermata, Linz, obbligandole a passare lì la notte, in attesa del primo treno utile per Villach, la loro città. In una manciata di secondi, secoli e millenni di cavalleria si concentrano in quei pochi metri quadri diretti a Salisburgo. Diciamo alle ragazze che, per non lasciarle sole, possiamo aspettare con loro. Ringraziandoci abbozzano un rifiuto, ma quando scopriamo la loro età (16 e 18 anni), Andrea rompe gli indugi imbracciando lo zaino. Comincia la nostra avventura notturna a Linz. Le nostre nuove amiche si chiamano Lena e Selina e, appena scese dal treno, ammettono di essere contente di non dover stare da sole. In un primo momento percorriamo le buie strade della cittadina austriaca alla ricerca di un posto aperto. È tardi, peró, e la camminata ci è utile solo a sgranchirci le gambe e conoscerci meglio. Le solite cose: studiare? Lavorate? Avete figli? (Ce l'hanno chiesto per davvero!) Poi tocca a noi: studiate? Siete mai state in Italia? Sapevate che Linz era la città preferita di Hitler? (l'ultima domanda è venuta, manco a dirlo, da Andrea). Torniamo in stazione sotto una leggera pioggia e ci sediamo ad aspettare l'alba. Ci scambiamo curiosità ed esperienze, oltre che qualche parola delle rispettive lingue. Trasmettiamo loro vocaboli fondamentali per la comunicazione in italiano: "pazzoide", "t'ammazzo", "stai alla frutta". Ci parlano di Kierchtag, l'oktoberfest austriaca, che si tiene nella loro città, e ci strappano la promessa di farci trovare lì l'anno prossimo. La notte scorre tutto sommato in fretta, allietata anche da una matta locale talmente fuori di testa da spogliarsi completamente a pochi metri da noi. Belle cose, signori. Facciamo con loro anche una porzione di viaggio in treno prima di salutarle definitivamente. Il nostro viaggio prosegue verso Ljubljana senza intoppi, a parte una poderosa fame. La capitale slovena è la città della separazione. Da qui la strada di Casty prenderà una differente direzione, per portarlo a Roma entro il 15 di agosto. Non vi è traccia, però, di viltà e arrendevolezza nella scelta del buon Castinini, così soprannominato nella notte da Selina, ma solo l'esigenza di ottemperare a precisi doveri familiari. Abbiamo tempo, prima di salutarci, di vedere insieme la città in cui, invece, Siso e Andrea trascorreranno l'ultima notte su un letto; il prossimo cuscino sarà a Roma. Ljubljana è una capitale, ma restiamo sorpresi dalle sue ridottissime dimensioni, come già ci era successo a Bucarest. In un'oretta abbiamo girato tutto il centro, dal triplo ponte all'università, dalle chiese al parco curiosamente chiamato Tivoli. La pioggia e le nostre scarse risorse economiche ci impediscono la gita al castello, e ripieghiamo in un minimarket. Nell'ostello, infatti, c'è la cucina, e né Andrea né Siso vogliono perdere una possibilità del genere. Dopo la spesa salutiamo Casty, che se ne va percorrendo un ponte decorato con terrificanti statue di draghi. La lancia di San Giorgio ti protegga, Castinini. 
La cena è resa ancor più deliziosa dal continuo transitare di giovani francesine sorridenti. Liberiamo loro la cucina dopo una delle cene più belle della nostra vita. Saliamo nella sala comune, dov'è altre Francesi della stessa comitiva attendono pazienti che le amiche cucinino. Giochiamo a scacchi e proviamo a cimentarci con il domino. Fuori diluvia tanto da scoraggiare le ragazze d'oltralpe, che rinunciano ad uscire. In compenso, conosciamo Massimo. È di Roma, in viaggio in moto per la Slovenia, e, alla faccia della Francia, andiamo a bere una birra con lui in un pub poco lontano dall'ostello. Massimo è più grande di noi, di età e di spirito, e ci facciamo trascinare dal racconto dei suoi viaggi in India, lasciando che la fredda birra slovena ci scivoli in corpo. Anche lui ha un blog e ci scambiamo i contatti. La serata è così bella che farla finire dopo due birre ci sembra una grave offesa al Dio dei viaggi. Per questo, tornati in ostello, ci cuciniamo in piena notte un'ottima pasta (burro, pepe, curry e si vola). Il registro della conversazione si abbassa, ma il tono di voce si alza, nonostante l'ora tarda. Ridiamo e scherziamo con la notte slovena e, dopo aver lavato i piatti, la serata finisce su un letto, l'ultimo del viaggio, che è anche il più comodo mai trovato. In due notti ecco tutto il mistero e tutta l'essenza del viaggio. Con Massimo, del resto, abbiamo brindato ai viaggi futuri, che è un po' come brindare a noi, ma di più. 

Giorno 16

Vienna, 12 agosto 2014

Il nostro primo "ostello-mobile" parte per Monaco poco dopo la mezzanotte. Da quando il primo InterRail ci portò lì quasi per caso, la città bavarese si è trasformata nella nostra Mecca, la nostra unica tappa fissa: una casa al centro d'Europa. Anche durante questo InterRail verrà il suo tempo, ma non è questo il tempo. Non ci fermeremo che per una manciata di minuti, utili giusto a cambiare binario e far di nuovo rotta verso Vienna.
Le poltrone sono comode e condividiamo i posti con due ragazze spaventosamente silenziose. La notte si prospetta dolce e tutto, giunti quasi a destinazione, sembrava andare per il verso giusto. Sembrava...I cieli bavaresi, infatti, stavano per giocarci un brutto scherzo. Viviamo una bizzarra disavventura con la polizia locale che non stenteremmo a definire grottesca, se non fosse stata accompagnata da una serie di gratuiti insulti all'Italia, rivolti in particolare al sud. Gli rispondiamo come possiamo prima di salire sul treno in partenza per Vienna portando con noi, oltre agli zaini, una pesante carica di nervosismo, tremando di impotente rabbia. Rabbia rivolta non alla nostra amata città tedesca, bensì alle sue arroganti autorità di polizia (che peraltro fanno vacanze in Italia e vanno matte per il prosciutto di Parma).
Neanche a dirlo, sul nuovo treno dormiamo quasi niente, ma la conversazione ci rasserena gli animi, permettendoci di tornare nella capitale austriaca col sorriso. La "drittata", quindi, puó dirsi riuscita. 
La sosta a Vienna è perlopiù dovuta all'esposizione, al Kunsthistorisches Museum, di una mostra dedicata ai "Padri d'Europa" Augusto e Carlo Magno.
Con gli zaini in spalla ed una leggera pioggia sulla testa, ci dirigiamo verso quella che crediamo essere la nostra meta. Ci accorgiamo di aver completamente cambiato direzione solo una volta arrivati a destinazione. Siamo al "Belvedere", dove sono esposte molte opere di Klimt, tra cui il celebre "Bacio". Valutiamo la possibilità di visitare la galleria, ma il prezzo esorbitante scoraggia presto la nostra curiosità artistica. Poi dal nulla la sorpresa. Una ragazza ci si avvicina porgendoci un paio di biglietti. Parla un inglese stentato e Andrea ne intuisce subito l'italianità (del resto, finora, avremo visto al massimo un paio di austriaci). Ci spiega che a lei e al suo ragazzo, all'entrata, non hanno strappato i biglietti e quindi voleva regalarli. Chi te ce manda...La ringraziamo ricordando la volta in cui, tre anni fa, regalammo ad un italiano un biglietto per la visita al Bernabeu che, consegnatoci per errore, ci avanzava. Casty entra a pagare col nostro fondo comune il terzo biglietto, ed ecco qua che il nostro castello crolla miseramente. Il biglietto appena acquistato ci sbatte in faccia la cruda realtà. Come possiamo aver creduto, anche solo per un momento, che un austriaco pagato per strappare biglietti potesse essersi scordato di strapparne ben due? È tutto molto triste, ma almeno riusciamo a farci rimborsare il biglietto pagato. 
La pioggia aumenta, ma ci incamminiamo verso il museo che cercavamo in origine. Attraversiamo una lunga strada, e poi un'altra ancora che ci porta davanti all'Opera di Vienna. Facendo lo slalom tra butta-dentro vestiti all'ottocentesca, ci accorgiamo che per terra è riprodotta una vera e propria Walk of Fame di compositori. E' così che, romanticamente, ci troviamo a mangiare wurstel seduti tra Mahler e Strauss.
Saliamo ancora sul lungo viale finchè alla nostra sinistra non compare l'imponente complesso museale che stavamo cercando. La mostra sui Padri d'Europa è una parte molto ristretta delle cose che vediamo, dai quadri di Arcimboldo agli antichi orologi barocchi, da mummie egizie a ritratti degli imperatori austro-ungarici. Tuttavia, la stanza dedicata ad Augusto e Carlo Magno, con i suoi pochi ma incredibili oggetti (in particolare la Gemma Augustea), ci ha più di tutte le altre sale trasmesso uno strano senso di magnificenza, rispetto e grandezza. Non sappiamo dire quanto tempo abbiamo trascorso tra le sale del Kunsthistorisches Museum, ma uscendo abbiamo trovato lo stesso cielo plumbeo che ci aveva accompagnati fino all'ingresso. 
Prima di tornare in stazione ci fermiamo in una pasticceria italiana dove Casty e Siso prendono la Sacher, mentre Andrea verte sul più classico dei gelati.
Arriviamo alla stazione appena in tempo per scampare ad un violento acquazzone. Andrea e Siso si concedono una cena nostalgica mangiando la stessa pasta finto-italiana provata nel viaggio di ritorno del secondo InterRail.
Ricarichiamo cellulari ed energie dopo una giornata più stancante di quanto si possa immaginare leggendo queste poche righe. 
Il treno per Ljubljana parte puntuale, del resto siamo in Austria e nessuno sul lavoro cede alla negligenza: nè gli imbianchini, nè gli strappabiglietti, nè gli impiegati delle ferrovie.

martedì 12 agosto 2014

Giorno 15

Budapest-Vienna, 11 agosto 2014


Dopo tre notti passate a zonzo sui treni d'Europa, il letto dello Judit Apartment farebbe impallidire perfino Giorgio Mastrota; tutte le sue certezze in fatto di comodità crollerebbero all'istante di fronte a un sì soave giaciglio. Prima di addormentarci la questione sveglia non è stata nemmeno sfiorata e al mattino dire che ce la prendiamo comoda è un eufemismo. Ogni minuto di sonno è prezioso, ma minuto dopo minuto è un attimo che si fanno le 10, fatidica ora del checkout. L'addetta alle pulizie, con fare deciso ma educato, ci fa notare l'ora e noi ci affrettiamo a lasciare la stanza, decisi a portare a termine il giro della città che la sera prima avevamo programmato. Depositati gli zaini nella locker room dell'ostello ci incamminiamo, con le spalle scariche e il passo svelto, verso la colazione. Andrea e Siso prendono un saccottino dal ripieno ignoto che si rivelerà poi, per la gioia del primo e la perplessità del secondo, contenere uvetta, mentre Casty opta per una torta, il tutto consumato sulle panchine del parchetto lì di fianco. Non abbiamo tutta la giornata, quindi non ci fermiamo troppo a goderci il tiepido sole del mattino, ma ci dirigiamo subito verso il Castello. Attraversiamo ancora il Ponte delle Catene e ci troviamo nella piazzetta da cui parte la funicolare per il castello. Non sono né la fila disumana, né il caldo o il prezzo del biglietto a non farci prendere minimamente in considerazione l'opzione funicolare, ma lo spirito stesso d'avventura e sacrificio che ci spinge a percorrere la nemmeno troppo faticosa salita. Arrivati in cima l'atmosfera è surreale: rivolti al panorama Danubio-città, alle nostre spalle un coro polacco in trasferta comincia ad intonare dei meravigliosi canti verosimilmente di chiesa intrattenendo noi e tutti i turisti presenti. Ci godiamo lo spettacolo a sorpresa, non solo uditivo a guardar bene alcune giovani coriste, ma presto un getto di acqua gelida di ricorda la meschinità dell'esistenza. La ricca esposizione di quadri ospitata dal castello è chiusa ai visitatori il lunedì. E' un peccato, ma fa parte del gioco. La passeggiata prosegue sotto il sole sempre più alto e caldo. Adesso la destinazione è l'ostello, dove andiamo a recuperare gli zaini prima di tornare in stazione e pranzare in attesa del nostro treno. Proprio in ostello mettiamo le mani su una serie di buoni validi per il Burger King che sembrano mandatici dal cielo. Anche stavolta, però, il dio dell'InterRail decide di colpirci, punendo con ogni probabilità la nostra ingordigia. Fraintendiamo il contenuto degli sconti e ci troviamo in un lampo con una valanga di cibo spazzatura e una ventina di euro in meno. Se questa è una sfida, allora vogliamo vincerla: il primo che smarrisce il sorriso ha perso! I minuti passano e il nostro treno è ancora un fantasma. Una incomprensibile scritta campeggia nel tabellone accanto all'orario di partenza. "Cancellato". C'è scritto "cancellato". Cambiamo programma, allora, non rassegnandoci all'avverso fato. Eliminiamo il giro a Bratislava dai nostri programmi e mettiamo Vienna nel mirino. E chi ci ferma adesso? Nessuno, nemmeno il caldo infernale del primo treno su cui saliamo. A Vienna prevediamo di passare la notte a spasso e, a darci il benvenuto chi altri poteva esserci se non Giove Pluvio in vena di scherzi? Esatto, piove e fa freddo. E per chi non si fosse mai trovato nella situazione adatta a scoprirlo, le stazioni, almeno in questa parte del mondo, a una certa ora chiudono. E' solo grazie all'ingegno di Siso e all'efficienza delle ferrovie austro-tedesche, però, che beffiamo anche il vecchio Giove Pluvio. L'idea è questa: passare la notte prendendo un treno di 5 ore fino a Monaco di Baviera e poi immediatamente un altro da lì a Vienna per un totale di 10 ore circa rubate all'asfalto e alla pioggia. Tutto chiaro, cosa potrebbe mai andare storto?


Giorno 14

Budapest, 10 agosto 2014

Il treno per Budapest stavolta ci lascia dormire e il tempo vola, disturbato solo dal rapido controllo dei passaporti alla frontiera.
La capitale ungherese è l'unica altra città, oltre a Monaco di Baviera, in cui l'InterRail col suo misterioso fluire ci abbia portato per una seconda volta. Già nel gennaio 2012 Andrea e Siso vi erano capitati sul finire del viaggio, ma senza soldi, tempo e forze per girarla a dovere: una toccata e fuga che non rese giustizia ad una città come questa.
Già l'arrivo alla stazione di Budapest Keleti ci dà motivo di presagire il netto cambio di registro rispetto a quella stancante e di fatto infruttuosa giornata di due anni e mezzo fa. I lavori che allora occupavano per intero la piazza e le vie circostanti sono conclusi ("ma allora succede veramente..." sospiriamo, abituati agli eterni cantieri di Roma) e ora anche la stazione, prima quasi del tutto vuota, si è riempita di negozi e chioschi vari.
La prima sosta è, come sempre, la colazione, fatta stavolta in una pasticceria quasi nascosta dalle insegne prepotenti del vicino Burger King. Mangiamo il giusto per riprendere le energie e lo spirito è così alto che ci induce a rinunciare alla comodità della metro, che pure è lì davanti a noi, percorrendo a piedi 3 chilometri e mezzo per arrivare in ostello. Senza cedimenti e soste, in una mezz'ora siamo a destinazione.
Per chi se lo fosse scordato, sono tre notti che siamo in giro: senza letti, senza docce, senza bagni. Immaginate dunque l'orgasmica sensazione che ci ha provocato l'infilare la chiave nella toppa e, girandola lentamente, il vedere aprirsi davanti a noi un posto da poter chiamare "camera". È talmente bella che quasi la chiameremmo "casa", nonostante il nostro soggiorno qui sia ristretto ad una notte.
Ci rimettiamo in sesto senza fretta, dormendo anche un po'. Improvvisamente, ci accorgiamo di esserci dimenticati di pranzare e a ricordarcelo sono proprio i nostri stomaci. Applichiamo informazioni tratte da internet ad un paio di mappe della città, decidendo il percorso da fare fino a sera e in un batter d'occhio siamo in strada.
Decidiamo di percorrere la sponda del Danubio che ci porterà al centro storico della città; più ci avviciniamo, più ci accorgiamo di quali fantastici scorci offra la città, vuoi per i suoi palazzi, vuoi per le sue ridenti aree verdi, per i ponti sul fiume, o per i suoi maestosi monumenti. Per prima cosa attraversiamo un ponte che ci porta sull'isola di Margarita, adibita a parco cittadino e molto frequentata da ungheresi e turisti di tutte le età. Proprio dal ponte si ha un'ottima visuale della città su entrambe le sponde, incorniciata dal cielo violaceo del crepuscolo: spiccano il Parlamento, l'ex Palazzo Reale, la cittadella fortificata con il Bastione dei Pescatori. Ci dirigiamo quindi verso il Parlamento, grandissimo edificio di architettura gotica che si affaccia sul fiume, tanto imponente da sembrare una cattedrale. Ancora non abbiamo mangiato nulla, ma siamo tutti d'accordo sul concederci una cena "da signori", a condizione di assaggiare il piatto tipico, benchè non propriamente estivo: il goulash. Troviamo così un piccolo ristorante dall'atmosfera unica; la proprietaria parla un perfetto italiano, le cameriere ci fanno battere il cuore, la musica di sottofondo ci viene offerta da un suonatore di cimbalom, tipico strumento locale e, cosa più importante, il cibo è buonissimo. Torniamo in strada e, attraversando il suggestivo e scintillante Ponte delle Catene, passiamo sulla sponda settentrionale del Danubio, dove  troviamo un luogo di ritrovo con musica, sdraio, panchine e un chioschetto che vende da bere. Esiste situazione migliore per provare una birra ungherese? Ci mettiamo comodi ma scopriamo con disappunto che la birra è calda ("la poteva prende dal frigo, 'sta cretina") e questo ci guasta un po' la piacevole situazione. Decidiamo quindi di salire sulla cittadella per goderci il panorama dal Bastione dei Pescatori; la strada è in salita e arriviamo assetati e un po' stanchi, ma ne è valsa decisamente la pena: Budapest di notte assume i contorni e i colori di una città uscita dalla migliore delle fantasie Disney, con gli alti edifici illuminati d'oro a riflettersi nelle placide acque del Danubio. Da sopra la cittadella facciamo un giro della Chiesa di S. Matteo e rimaniamo per un po' a goderci il panorama, ma la stanchezza comincia a farsi sentire, così ci incamminiamo per tornare in camera. Facciamo appena in tempo a chiudere gli occhi che già le nostre menti volano alte sopra Budapest, lasciando i corpi a riposare.




lunedì 11 agosto 2014

Giorno 13

Timisoara, 9 agosto 2014

La seconda notte in treno passa scomoda quanto la prima. Ginocchia e schiene cominciano ad accusare le improbabili posizioni sperimentate nei tentativi di prendere sonno. 
Usciamo in strada senza sapere dove ci troviamo, né dove andare e sprovvisti di mappa alcuna seguiamo l'indicazione per "Centrum".  Seguendo un lungo stradone arriviamo fino alla Piazza della Vittoria, dove solo 25 anni fa ebbe iniziò la rivolta che portò all'esecuzione di Ceausescu e alla liberazione dal regime comunista. Per la seconda volta ci troviamo di fronte ad un palco, ma lì per lì lo ignoriamo rivolgendo i nostri occhi all'imponente cattedrale ortodossa in fondo alla piazza. Tra noi e l'edificio sacro, inoltre, notiamo non senza sorpresa una colonna sovrastata dalla lupa romana con tanto di gemelli. Facciamo colazione approfittandone anche per una lavata di denti molto gradita. 
Zaini in spalla ci dirigiamo al vicino Tourist Info Point, dove una gentile signora ci suggerisce un itinerario della città e ci informa circa il programma odierno del festival culturale cittadino (ricordate il palco visto in piazza?), che prevede una giornata dedicata al folklore catalano. Bomba. Le chiediamo se conosce un posto che ci consenta, per qualche ora, di liberarci del peso degli zaini. Ecco qui che la signora ci dà un pacco di mappe di Timisoara e ci chiede di recapitarle ad un vicino ostello che, a suo dire, ci permetterà di lasciargli in deposito i nostri fardelli. 
Tutto fila liscio e dopo aver lasciato le cartine e gli zaini ("i zaini" secondo autorevoli fonti  linguistiche vicine a Vitinia) ad un simpatico personaggio, ci apprestiamo a visitare la città. 
Cominciamo con Piazza della Libertà, chiedendoci se forse non sia questa la piazza che ha dato i natali alla squadra di Formello, ma purtroppo la troviamo completamente sotto sopra per via di grossi lavori di ristrutturazione. Copione destinato, però, a ripetersi anche nella tappa successiva, Piazza dell'Unità, completamente inagibile. Mai domi, comunque, aggiriamo il cantiere per giungere alla chiesa cattolica di San Giorgio, al lato opposto rispetto alla cattedrale ortodossa serba. 
In pochi passi siamo al giro di boa del nostro itinerario: la Revolution Memorial Association. La struttura è quasi del tutto abbandonata, tanto da farci pensare di aver sbagliato in qualche modo strada. In nostro soccorso arriva un signore che ci invita ad entrare chiedendoci "visita?". L'edificio è una caserma completamente in rovina, le pareti sono incrostate di muffa e l'aria fitta di polvere è quasi irrespirabile. Veniamo guidati fino ad una saletta con qualche sedia rivolta ad un grosso televisore. Non senza difficoltà, il nostro nuovo amico fa partire un documentario di circa mezz'ora sulla rivolta dell'89, fortunatamente con sottotitoli in italiano. 
Al termine della riproduzione veniamo condotti al piano superiore, dove un altro signore, molto più anziano, ci chiede in italiano un'offerta in denaro per la ristrutturazione dei locali che tutto sommato siamo felici di lasciargli. Concludiamo il giro per le altre stanze, piene di foto, divise militari e bandiere romene"bucate", ossia private della stella rossa sovietica che campeggiava al centro delle stesse sotto Ceausescu. 
All'uscita ci intratteniamo qualche minuto con un cagnolone legato lì fuori che, oltre ad avere una voglia matta di giocare, ha anche degli incredibili occhi neri cerchiati di bianco.
Cominciamo quindi la strada di ritorno verso la Piazza della Vittoria passando per quel che rimane delle antiche mura del bastione. 
Nei pressi del parco cittadino troviamo anche di che nutrirci e consumiamo un sostanzioso quanto economico pranzo tra gli sguardo affamati di decine di uccellini. 
Di nuovo in piazza, ci godiamo il "Gelato di Bruno" dove l'ennesimo fraintendimento dei prezzi non guasta il delizioso sapore del dolce che ci siamo viziosamente concessi.  Proseguiamo fino al parco centrale al centro del quale il prato retrocede per lasciare un lungo spazio a tavoli da gioco dove bande di arzilli anziani si sfidano a scacchi, backgammon e domino. Assistiamo ammirati ad un paio di sfide tra due vecchietti, insieme a qualche altro tifoso tra cui spicca il sosia di Califano. È così bello che quasi ci scappa una lacrima, se non fosse che noi "nun piagnemo per un omo che more.."
Il sole comincia a scendere e ci affrettiamo a ritirare gli zaini per non abusare della gentilezza dei gestori dell'ostello in cui li abbiamo lasciati. 
In piazza assistiamo ad un paio di esibizioni di acrobati catalani, apertura ad una serie di performance musicali. 
Torniamo in stazione seguendo lo stradone, ma voltare le spalle a quella meraviglia ci è costato più del previsto. 
La direzione è Budapest, ma il percorso ce lo siamo costruito noi. Il che significa arrivare in una bizzarra cittadina romena, Deva, in piena notte per rimanerci un paio d'ore in attesa del treno per la capitale ungherese. È l'ultima fatica prima di tornare a godere delle meraviglie di doccia e materassi. 
Deva è uno di quei pochissimi posti dove avremmo preferito non passare, tra tossici vari e ciccioni pazzi che picchiano cani randagi (fortunatamente difesi con onore da una comitiva di locali). Fa anche freddo e il treno tarda. Resistiamo sulla banchina stringendo denti in bocca e pugni in tasca. 
Nella notte, poi, all'improvviso, dei fari, un fischio, una scritta: Budapest.



Giorno 12

Sibiu, 8 agosto 2014


Il viaggio in treno che dalla capitale rumena ci porta a Sibiu non merita particolari menzioni, eccezion fatta per la singolare scomodità dei posti a sedere, apparentemente pensati più per tenere vigili i passeggeri che per farli addormentare, caratteristica non delle migliori per un treno notturno. Ci “svegliamo” quindi a Sibiu, città dalla grande storia nel cuore della Transilvania. Le distanze sono irrisorie e in pochi passi dalla stazione, seppur con gli zaini in spalla, ci troviamo in pieno centro storico, nella Piazza Grande, ancora semideserta nel giorno appena nato. Qui ci buttiamo sulle panchine e aspettiamo che la stanchezza della notte ci scivoli via. La piazza, come tutta la città, comincia a mano a mano a popolarsi di indigeni e turisti, preceduti dai piccioni, mentre fervono i preparativi per la festa cittadina che si tiene proprio in questi giorni.
Consigliataci da tutti come imperdibile, Sibiu rispetta le aspettative, con la sua caratteristica architettura pesantemente influenzata dalla lunga appartenenza all’Impero austroungarico, tanto da farci credere di essere magicamente capitati nei pressi di Vienna: tutto è in perfetto ordine, i muri sono immacolati e in terra non c’è l’ombra di una cicca. Ci mettiamo relativamente poco per fare un giro completo del centro storico e delle sue attrazioni, perciò prima di pranzo ripieghiamo sul museo cittadino, che ospita un’esposizione temporanea di Salvador Dalì intitolata “La Divina Commedia”, che raccoglie le sue stampe sul poema dantesco. Tra brontolii di stomaco e qualche crampo, la fame ci riporta in strada e il sesto senso ci conduce al mercato cittadino, ben nascosto, ma non abbastanza per chi in quel momento mangerebbe un intero “Casty col ragù”. Tra i vari banchi, tutti riforniti di leccornie locali, la nostra scelta cade su un classico intramontabile: pane e cacio. “A Dragonbò, ma che m’hai dato? Er sushi?!”  Acquistiamo il tutto in formula componibile, ovvero mezza forma di pane e mezza di formaggio e, impazienti di sfoderare il coltello di Andrea, ci dirigiamo in piazza per cominciare la sacra cerimonia di preparazione dei panini. Spazzoliamo tutto quanto in quattro e quattr’otto, contenti e finalmente sazi; cibo semplice e di qualità, impossibile chiedere di meglio.
Il pomeriggio scorre tranquillo; passato soprattutto nella piazza principale a leggere, tra le prove generali del concerto di quella sera e qualche sgrullata di pioggia, non annoveriamo niente di speciale nel nostro racconto, ma ogni tanto è anche giusto allentare la corda e sapersi godere un po’ di ristoro, per esempio aggiungendoci una birra gelata.
In men che non si dica si fa sera. Ceniamo con un pasto che ad Andrea e Siso fa cadere un paio di lacrime tanto ricorda le passate avventure scandinave, sardine in scatola con salsa di pomodoro (sprot in sos tomat per i locali). Casty in principio è diffidente, ma alla fine cede agli ammiccamenti di un tale piatto da gourmet. Consumiamo questa cena nostalgica nella Piazza Grande, ormai diventata quasi nostra, godendoci l’esibizione di un gruppo folk del luogo, assai coinvolgente e piacevole.
Spinti forse dalla paura di perdere il treno, o dalla nostra sconfinata passione per le locomotive, oppure da semplice e pura pazzia, ci dirigiamo alla stazione con ben quattro ore di anticipo, minuto più minuto meno, per prendere il nostro treno delle 3 (antimeridiane, mica pizza e fichi) per Timisoara. Probabilmente al mattino erano stati la stanchezza e gli occhi gonfi a non farci notare lo stridente contrasto tra il centro storico e la stazione ferroviaria, a dir poco sporca e grottesca, nonché popolata da gente che, vista la geografia, può probabilmente vantare qualche antica parentela con il conte Dracula. A rendere il tutto ancora più piacevole ci pensa un freddo di quelli che si sentono fin nelle ossa. Ci addormentiamo allora sulla banchina del nostro binario, svegliati di tanto in tanto dall’addetto allo svuotamento dei cestini, che intavola con Casty un surreale scambio di versi.
Alla fine le vicissitudini ne hanno abbastanza di giocare con noi e il nostro treno ascolta le nostre invocazioni, arrivando in stazione con quasi un’ora di anticipo con il chiaro intento di salvarci  dall’ipotermia e permetterci di continuare il viaggio; mai fischio fu meglio accolto. Ci trasciniamo al suo interno e, preso posto, cadere tra le braccia di Morfeo è un attimo.

domenica 10 agosto 2014

Giorno 11

Bucarest, 7 agosto 2014


L’undicesimo giorno comincia con un lento risveglio nell’ostello di Bucarest, rassegnati all’idea che per le 3 notti che ci aspettano non poggeremo le membra che su asfalto e sedili di treno. Lasciamo gli zaini in ostello tra i sorrisi della ragazza che lo gestisce, Catalina, che ci suggerisce anche un itinerario da seguire e dei luoghi da visitare. Arrivati su una delle vie principali, facciamo colazione con dei dolci tipici presi  da un fornaio come qui molti se ne trovano, che sporge quasi solo col profumo di pane sulla strada. Seguendo l’itinerario consigliato, passiamo per un viale dove si affacciano la Filarmonica Nazionale, l’ex palazzo reale, e una chiesa ortodossa. Solo nell’ultima riusciamo ad entrare e rimaniamo stupiti per le innumerevoli decorazioni e icone presenti, tali da non lasciar intravedere nemmeno un centimetro di parete. Accanto a questi edifici dei secoli passati ne sorgono altri molto più moderni che creano un forte contrasto, talvolta piacevole e talvolta stucchevole. A non stuccare mai, invece, sono le bellezze locali, tante e tali da rimanerci presto negli occhi e nel cuore. Disseminati per la città si trovano dei monumenti evocativi della recente liberazione dal comunismo, regime il cui simbolo più significativo e rappresentativo è il Palazzo del Popolo, ex sede del Partito Comunista e ora del Parlamento Rumeno, un gigantesco edificio al centro della città circondato da giardini, il secondo edificio governativo al mondo per grandezza (il primato spetta al Pentagono, in USA). Rimaniamo scioccati quando ce lo troviamo davanti alla fine del viale alberato che stavamo percorrendo; lo giriamo e lo vediamo da due lati fino all’entrata principale per i visitatori, ma dobbiamo rinunciare all’idea di visitarlo, perché troppo grande e impossibile da vedere nel tempo a nostra disposizione. Completiamo a piedi il tour della città segnato sulla mappa, non stanchi, ma assai affamati. Decidiamo così di tornare sui nostri passi, precisamente in un vicolo dove un ristorante molto elegante aveva attirato la nostra attenzione offrendo una scelta tra ben quattro menu completi a pochi soldi: una delle poche volte che ci concediamo un pasto caldo, intorno a un tavolo, con delle posate.
Signore e signori:
- zuppa di fagioli con carne affumicata e cipolla;
- pomodori e formaggio acido;
- maiale arrosto con patatine fritte e formaggio;
- torta al cioccolato.
Prezzo a capa: circa 5 euro a testa. Godibilissmo.
Ci godiamo appieno il pasto e decidiamo di trascorrere un po’ del tempo che ci rimane nella capitale rumena in un parco con un laghetto al suo interno. Qui, decidiamo anche di affittare una barca a remi e di fare un giro. Ci capita in sorte l'imbarcazione con le fiamme disegnate sulla chiglia, come a sottolineare il paradosso dell'esistenza. A turno remiamo rischiando ad ogni movimento di finire in acqua (con tanto di documenti e biglietti interrail) e scopriamo che Siso è un vogatore mancato; Andrea prende un po’ di confidenza seppur con qualche difficoltà iniziale; l’arte, invece, non appartiene affatto a Casty, essendo richiesto un livello di coordinazione che probabilmente lui non conoscerà mai.  Ci fermiamo anche in un’area allestita con attrezzi da palestra semplificati, osservando chi tra i locali ne ha fatto la propria attività sportiva principale e cimentandoci anche noi in qualche ripetizione. Veniamo anche avvicinati da due italiani in canotta che con forte accento nordico ci chiedono quanto ci fermiamo in città. Sono bresciani e si lamentano per la povertà che secondo loro affligge la movida rumena. Per questo motivo si lanciano in sperticate critiche rivolte alla bella Bucarest. Davvero un peccato non poter fare bisboccia con loro. Visto che si avvicina l’ora di prendere il treno per Sibiu, capoluogo della Transilvania e nostra prossima destinazione, torniamo all’ostello per recuperare gli zaini, ci fermiamo per fare delle scorte per la notte e torniamo alla stazione. E’ ancora presto e facciamo in tempo a dedicarci alla lettura e a piacevoli discorsi. Arriva l’ora di prendere il treno notturno, il primo di tre che sarà per noi come un tetto,coi sedili come letti, e con gli altri viaggiatori come compagni di stanza. 


mercoledì 6 agosto 2014

Giorni 9 e 10

Istanbul-Bucharest, 5/6 agosto 2014

Il nono giorno prelude ad un tour de force che nel giro di qualche notte ci porterà fino a Budapest. Per questo decidiamo di goderci la mattinata in ostello senza impostare sveglie o simili. A tirarci su dal letto, però, come se non bastasse il viavai dovuto al bagno, ci si mettono i crampi della fame, così forti da costringerci a fare colazione con un pacchetto di TUC al formaggio.
Ci godiamo anche l’ultima doccia prima di riprendere le strade di Istanbul. Salutiamo la tizia dell’ostello che, purtroppo, si ricorda che gli dobbiamo dei soldi costringendoci ad attingere dal nostro fondo tutt’altro che illimitato. Il caldo di mezzogiorno rende l’aria quasi irrespirabile, ecco perché il tragitto in tram con l’aria condizionata ci sembra improvvisamente la cosa migliore delle nostre vite.
Scendiamo alla stazione per depositare gli zaini nelle cassette di sicurezza, non prima di esserci informati sul percorso che dovremo fare stanotte verso Bucarest. Ecco fatto, l’omino della stazione ci informa che il nostro treno, il Bosphorus Express, è in riparazione e pertanto sostituito da un complicato tratto che prevede un paio di pullman e un treno. La tristezza è tutta di Siso, fremente all’idea di prendere il famoso e spettacolare treno turco.
Alle cassette di sicurezza veniamo avvicinati da un barcollante indigeno che dopo averci aiutato, ci chiede del denaro come nella più normale delle stazioni metro di Roma. Denaro, però che non possediamo. Bello mio, almeno te stai ‘mbriaco!
Il sole rischia davvero di incendiarci la testa e quindi andiamo a fare scorte d’acqua in un parco poco lontano, che attraversiamo per arrivare all’ingresso di Santa Sofia. L’ultima curva ci rivela, però, una fila immane che sembra tagliare a metà l’intera città. La guardia giurata, interrogata sugli orari del museo, ci risponde consigliandoci di passare per le 16. Molto bene.
Ne approfittiamo per mangiare e troviamo rapidamente un posto abbastanza conveniente. Abbiamo le nostre scorte di acqua e quindi non prendiamo da bere, ma il proprietario del posto decide di superare ogni livello di infamità mai raggiunto nella storia piazzandoci davanti, su un tavolo vuoto, un bicchiere di splendida acqua con ghiaccio. Figlio di puttana.
Dopo mangiato abbiamo ancora tempo da perdere e ci concediamo qualche sfizio, in particolare Siso con una lattina di coca e Andrea con un gelatino carino, preparato come il giorno prima tra i giochi di prestigio di  Mimmo. L’acqua è presto finita e torniamo a fare il carico. Ignoriamo volutamente il suo sapore un po’ strano perché ci disseta e tanto basta. Quale flagello si stesse abbattendo su di noi lo avremmo scoperto solo più tardi. Nei pressi della fontanella ci imbattiamo nell’esposizione di una famiglia di artisti locali. Alcune opere sono particolarmente belle e ci rallegra la scoperta  che la loro versione in poster è in vendita per pochi spicci. Pochi per chiunque, ma non per noi, che decidiamo di rimandare l’acquisto a più tardi, quando l’entità delle nostre residue finanze ci dirà se possiamo davvero permetterci un simile lusso. Fattesi quasi le 16 ci dirigiamo verso Santa Sofia. Il consiglio della guardia giurata si rivela azzeccato e riusciamo a entrare dopo una breve fila che nulla ha a che vedere con il serpentone della mattina. All’interno ci aspetta una delle massime espressioni dell’incontro tra la religione cattolica e quella musulmana; la struttura, adibita a museo negli anni ’30 dal mitico Ataturk, nacque come chiesa cattolica, per poi essere convertita in moschea. All’interno elementi di entrambe le religioni coesistono fianco a fianco. Su tutti spicca l’abside, che al centro ospita un mosaico della Madonna e Gesù bambino affiancati da imponenti dischi con sopra raffigurati gli epiteti di Allah e Maometto. Prima di uscire c’è tempo anche per il momento tenerezza, con una cucciolata di gattini appena nati che giocano sotto gli occhi della mamma e che presto, non ce ne vogliano Allah e tutti i santi, monopolizzano l’interesse della maggior parte dei visitatori.  Usciamo da Santa Sofia e il nostro desiderio di conservare un poster dell’esposizione  supera la tacita promessa di non cambiare  altri euro in lire turche, così torniamo lì e ognuno di noi ne sceglie uno  da portarsi a casa. Prima di recuperare gli zaini facciamo un’ultima tappa per riempire le scorte d’acqua, poi trascorriamo  del tempo in stazione leggendo o riposando fino a che il tipo delle pulizie non ci fa alzare per adempiere al suo dovere in occasione di uno spettacolo di Dervisci previsto per le 19.30. E’ giusto così, è ora di cena. Ci rechiamo al porto sperando in un panino col pesce di quelli che abbiamo sperimentato il primo giorno, ma troviamo invece una piacevole sorpresa: su un banchetto che non avevamo notato, un simpatico signore che parla solo turco che, con dei fantastici panini con uova o formaggio e un vasto assortimento di verdure crude, ci fa venire l’acquolina in bocca e ci mette tutti d’accordo riguardo la cena.  Volevamo un succo d’arancia fatto espresso da uno degli ambulanti del luogo, ma, non trovandone nessuno, ci accontentiamo di una limonata in un chioschetto; dove facciamo anche delle scorte per la notte. Nel tempo che ci rimane prima dell’arrivo del pullman, facciamo la conoscenza di un gattino che si accoccola sulle gambe di Siso e  ci fa compagnia fino alla nostra partenza. Ci affezioniamo talmente tanto che lo battezziamo con ben tre nomi: Antonio Bennato, Fabri Fibra e Borsino. Oltre al micio incontriamo il buon vecchio Ismael, che sta andando a Sofia e con il quale condivideremo un paio di pullman.
Il lungo viaggio inizia male, almeno per Andrea che comincia da subito ad avvertire un malessere di stomaco, tanto che alla prima provvidenziale sosta ne approfitta per vomitare come il peggiore degli alcolizzati. Passano le ore e ci troviamo nella stessa stazione in mezzo al nulla in cui eravamo passati pochi giorni fa. Qui conosciamo Laurent, un belga che ha fatto l’Erasmus a Roma e quindi parla molto bene l’italiano. Ci facciamo amicizia, tanto che ci promette di ospitarci e scarrozzarci lui stesso se dovessimo capitare in Belgio. Un grande. Il secondo pullman fa una sosta al bagno che stavolta battezza Siso e il successivo, che ci separa da Ismael e dal buon Laurent, è quello di Casty. Stiamo male e la causa è facilmente individuabile: l’acqua delle fontane di Istanbul non è esattamente potabile. Bei coglioni, direte voi, e infatti lo siamo.
Piegati da crampi allo stomaco e sudori freddi combattiamo la Maledizione di Ataturk fino al treno che ci trasporterà per gli ultimi chilometri che ci separano dalla capitale romena. Lì il caldo quasi ci distrae dai nostri dolori e in qualche ora siamo a Bucarest. Qui ci accoglie una stazione diversa da tutte quelle che abbiamo incontrato finora e solo una genialata di Siso riesce a descriverla: “E’ come se la stazione di Monaco avesse fatto un figlio con quella di Paleofarsalos.”
Nel giro di pochi minuti siamo nell’ostello, dove ci accolgono una ragazza molto carina e sua madre.
Ci laviamo dopo 20 ore di strada e la voglia di vedere la città ci spinge ad uscire. A frenarci, invece, è la pioggia improvvisa che si abbatte su di noi, costringendoci a fare una misera spesa al vicino mini-market. Altrettanto improvvisamente, però, i piani di Giove Pluvio per noi ci appaiono chiari quando, entrando nel negozio, scorgiamo la scollatissima dea che lavora in cassa.
Usciamo da lì vagamente turbati e in camera consumiamo una modesta cena con modesto alcol.
In fondo, a noi, cos’altro serve? 




martedì 5 agosto 2014

Giorno 8

Istanbul, 4 agosto 2014

Ci svegliamo al Taz-Mania Hostel  la mattina del 4 agosto con una triste consapevolezza: qua dentro niente colazione. Cerchiamo di farcene una ragione e alla fine troviamo le forze per alzarci e vestirci.
Usciamo per le vie turche affamati e ci fermiamo in una pasticceria a mangiare un dolce tipico al cioccolato. Niente di speciale, a parte la sensazione di allappo cosmico che ne consegue. Prendiamo di nuovo il tram per arrivare in centro godendoci ogni secondo di aria condizionata.
La prima tappa è la Cisterna Basilica, cisterna sotterranea costruita sotto Giustiniano I. L’atmosfera qui dentro è indescrivibile con le enormi colonne a malapena illuminate, le passerelle scricchiolanti a pelo d’acqua e gli sgocciolii incessanti dal soffitto. Ci soffermiamo, come tutti, ad osservare le due teste di Medusa capovolte poste come base per due colonne. Apprezziamo anche la cosiddetta Colonna delle Lacrime, dove peraltro una signora in posa si lascia andare a rumorose liberazioni intestinali. Finiamo il giro osservando le carpe nuotare nell’acqua un tempo riservata agli uomini.
Torniamo alla luce del sole con l’idea di entrare subito nella Moschea Blu, ma è chiusa per la preghiera e riaprirà soltanto alle 14. Decidiamo di pranzare nel Gran Bazar, approfittando per farvi un primo giro di perlustrazione. La delusione è tanta, però, quando ci rendiamo conto che non è niente di troppo diverso da un normalissimo centro commerciale europeo, se non fosse per il fortissimo odore di pelli e spezie. Visti i prezzi, siamo costretti ad uscire per mangiare, ma fortunatamente non dobbiamo allontanarci troppo. Mangiamo dei panini con il pollo e recuperiamo tutte le energie che il caldo ci aveva rubato fino ad allora.
Ci incamminiamo a stomaco pieno e morale alto verso la Moschea Blu percorrendo una strada in leggera discesa. Ci fermiamo per mangiare un gelato. A servirci è un bizzarro personaggio che facendo una serie di giochi di abilità dà luogo ad uno show a metà tra il giocoliere e il mago. Quando scopre che siamo italiani inizia a urlare: “Pasta, pizza, mandolino!”. E quando scopre che siamo di Roma strilla: “Campioni, Totti, bravo!”.Ci ricorda Mimmo il kebabbaro dell’Eur, ed è con questo nome che si è guadagnato un posto nei nostri cuori. Anche perché, cosa da non sottovalutare, il gelato è ottimo. Poco dopo ci fermiamo ancora, stavolta in un negozio di antiquariato, dove Siso compra un antico disegno presumibilmente tratto da antichi testi di medicina arabi.
La Moschea Blu non è blu. O meglio lo sono solo la maggior parte delle decorazioni che ne ricoprono le pareti interne e le vetrate. La sacralità del luogo è contaminata dalla folla di turisti e per questo ci ritagliamo un angolo tra una colonna e le barriere che ci dividono dalla zona di preghiera. Qui osserviamo i musulmani nel loro ambiente più naturale e la meditazione ci coglie così tanto che stiamo lì lì per addormentarci al cospetto di Allah.
La tappa successiva è il poco distante palazzo Topkapi. Facciamo una discreta fila prima di fare i biglietti, ma alla fine entriamo. I sentieri tra i giardini ci conducono a porte che nascondono antichissime armi, vestiti dei sultani, libri e stampe di secoli fa. L’ultimo padiglione è il più affascinante con decine di reliquie sacre come il bastone di Mosè, il turbante di Abramo e pezzi di barba del profeta Maometto. In tutte le stanze del palazzo riecheggia un canto arabo da un altoparlante e rimaniamo folgorati quando, entrando in una stanza apparentemente vuota, troviamo un uomo intento a cantare il Corano al microfono; era sua la voce che avevamo udito fino a quel momento. Restiamo a guardarlo come incantati prima di terminare il lungo giro.
Usciamo nei giardini che danno sul mare e possiamo finalmente ammirare la grandezza di Istanbul dall’alto. Come i moltissimi gatti che abbiamo visto per strada hanno imparato a convivere con i numerosi cani randagi, così grattacieli ed edifici moderni si danno il cambio, lungo l’orizzonte, con minareti e antiche torri.
Facciamo una lunga sosta in questa parte del palazzo, per studiare il percorso che faremo una volta usciti dalla Turchia. La sosta è così lunga che si fanno le 19 e veniamo amichevolmente accompagnati all’uscita con pochi altri turisti e una manciata di donne coperte dal Burqa.
La fame ci stritola le viscere e ci godiamo un hot dog a testa che presto si rivela insufficiente per maschioni come noi a corto di energie. Andrea e Siso ripiegano sulle pannocchie, Casty attende tempi migliori. Il denaro scarseggia.
Il sole ormai basso ci dà un po’ di tregua e decidiamo di raggiungere la Torre di Galata prima di tornare in ostello. Per arrivarci percorriamo una salita talmente ripida che ci starebbe bene uno skilift, ma la torre è bella e vale la fatica. Ai suoi piedi decine di giovani mangiano e cantano. Continuiamo il percorso scendendo per le vie del quartiere di Tophane dove assistiamo anche ad un arresto in un Ostello che sarebbe potuto essere il nostro. Mai che ci dice bene su queste cose. Scendiamo per le ripide vie tra muri coperti da decine di scritte contro Israele e a difesa della Palestina, invece che dai manifesti elettorali che ricoprono il resto della città.
Iniziamo ad accusare una certa stanchezza, le gambe quasi non rispondono più e siamo zuppi di sudore nonostante c’illuminino ormai solo la luna e i lampioni. Ci fermiamo di nuovo davanti alla Moschea del primo giorno e assistiamo ad un vero e proprio spettacolo. Dagli altoparlanti comincia ad uscire un canto sacro e potente che investe tutta l’aria circostante: è il richiamo alla preghiera. Nei minuti seguenti, uno alla volta arrivano  puntuali  i fedeli, anche in quell’ora insolita. Ci affacciamo da una finestra per sbirciare senza entrare per non essere irrispettosi. Entrano anche dei poliziotti e persino la guardia giurata in servizio si flette verso la Mecca.
Pervasi dalla spiritualità troviamo nuove forze per arrivare fino all’ostello. Qui, già stesi sui letti, osserviamo il meraviglioso pellegrinaggio dei nostri dirimpettai che, per arrivare al bagno, devono di fatto entrare in camera nostra. Ci sorridono, ma che cazzo ve sorridete?!
Riposiamo le membra stanche per la giornata intensa e calda, domani completeremo il giro di una città dove il tempo stesso sembra piegarsi alle esigenze di Allah.




lunedì 4 agosto 2014

Giorno 7

Istanbul, 3 agosto 2014

Eccoci in Turchia, eccoci ad Istanbul. Salutiamo il resto della brigata, costretti per ora ad accantonare il sogno di sposare una koreana. Non solo è domenica, ma è anche praticamente l’alba quindi fatichiamo un po’ a trovare un posto aperto per ricaricare i telefoni, misura necessaria per prenotare l’ostello. Abbiamo deciso che staremo qui due notti per goderci a pieno la città e ricaricare un po’ le batterie. Dopo qualche esitazione prenotiamo una camera al Taz-Mania Hostel, economico ma situato nel quartiere di Besiktas, piuttosto lontano dal centro. Sperimentiamo il meraviglioso sistema a gettoni per l’accesso al tram. Giunti al capolinea dobbiamo percorrere un paio di chilometri a piedi e questo ci dà modo di dare un’occhiata alla città. Superiamo una Moschea e lo Stadio del Besiktas prima di infilarci in un intricato groviglio di viuzze piene di negozi, pasticcerie e bar. E’ tutto maledettamente in salita e abbandoniamo il progetto originario di affittare delle biciclette.
L’arrivo all’ostello, però, non è dei migliori, con la tizia che lo gestisce pronta ad informarci che non possiamo fare il check-in prima delle 13. Ci permette, comunque, di lasciare gli zaini e decidiamo di fare un primo giro quantomeno del quartiere. Proviamo a raggiungere piazza Taksim, ma presto ci accorgiamo che la strada da fare è troppa e il sole troppo caldo. Ripieghiamo nelle stradine vicino all’ostello, trovando anche un buon posto dove pranzare. Finito il pasto mancano ancora una quarantina di minuti alle 13 e pensiamo bene di addormentarci sullo stesso tavolino su cui ci siamo sfamati. E’ tutto bellissimo.
Alle 13.00, puntuali come la morte, torniamo all’ostello per fare il dannato check-in. Ci fanno togliere le scarpe all’ingresso munendoci di scomodissime ciabatte apparentemente di carta ma di fatto indistruttibili. Ci piazzano in un dormitorio da 6, ma c’è qualcosa che non va: noi avevamo prenotato la stanza da tre. Lo facciamo presente ai cari gestori del Taz-Mania che provvedono a sistemare la stanza giusta per noi.
Siamo letteralmente distrutti. Ci spogliamo degli abiti zozzi e sudati e, uno alla volta s’intende, ci facciamo una doccia che non scorderemo facilmente. Dopo le abluzioni, il riposo: l’abbiocco sale velocemente e altrettanto velocemente scendono le palpebre.
Ci risvegliamo tirati a lucido e usciamo a visitare la città. Ci fermiamo nella Moschea intravista all’andata e la forte spiritualità del luogo ci pervade immediatamente, trasmettendoci contemporaneamente migliaia di sensazioni che sembrano tessere un arazzo sacro: dal soffice tappeto sotto i nostri piedi nudi al canto dei musulmani in preghiera.
Arriviamo alla fermata e il tram ci porta a Sultanahmet, nel cuore della metropoli turca. E’ abbastanza tardi e tutto sta chiudendo l’accesso ai turisti. Individuiamo i posti di maggior interesse e rimandiamo a domani una visita più approfondita. Passeggiando nei giardini tra la Moschea Blu e Santa Sofia assaggiamo una specie di super caramella locale, un bello schifo a dirla tutta. Dopo il tramonto ci dirigiamo al porto dove consumiamo una cena incredibile: panino col pesce pescato a chilometri zero e succo di rapa acido con cetrioli. Ottimo il primo, stomachevole il secondo. Ma se la vita ti offre un accostamento del genere che fai, non lo provi?
Rinvigoriti dalla giornata distesa decidiamo di fare a meno del tram e torniamo in ostello a piedi.
Forse residui di stanchezza, o forse la voglia irrefrenabile di entrare ancora di più nell’anima di Istanbul: non lo sappiamo, ma in pochi minuti dormiamo come bambini.



Giorno 6

Sofia-Plovdiv-Istanbul, 2/3 agosto 2014

Priorità: posare gli zaini. Passeremo la giornata ad attraversare Sofia, non possiamo permetterci tutto quel peso sulle spalle. Cominciamo a girare per Sofia trascinando i piedi sull’asfalto bollente. Ci fermiamo in un parchetto per riposare le ginocchia qualche minuto e Andrea si addormenta su una panchina all’ombra.
Non dobbiamo lasciarci soggiogare dalla stanchezza e riprendiamo la passeggiata. La città ci dà subito l’impressione di essere una metropoli, con le strade del centro larghe e trafficate. Superiamo edifici imponenti e antiche chiese prima di arrivare alla spettacolare cattedrale ortodossa intitolata ad Aleksandar Nevskij. In un parco ci imbattiamo in una lunga fila di bancarelle piene di qualunque cosa, dai colbacchi sovietici a coltelli con svastiche di dubbia autenticità. Ci fermiamo davanti ad una di queste e facciamo amicizia con il proprietario che parla molto bene l’italiano. Ci racconta la storia di alcuni oggetti che ha in vendita e conferma le nostre perplessità circa l’autenticità di alcuni particolari cimeli di guerra che abbiamo intravisto poco prima.
Viriamo nella direzione della stazione e presto troviamo un posto dove pranzare. Anche qui spendiamo una miseria mangiando degli ottimi panini con Kebab, che Siso e Casty accompagnano al tipico yogurt locale. Decidiamo di provare ad anticipare la partenza di qualche ora ma, arrivati in stazione zuppi per la corsetta, non troviamo il treno che cerchiamo.  Poco male, riposiamo un paio d’ore aspettando di prendere il treno delle 17:00 per Plovdid, Bulgaria, da dove comincerà la spedizione per Istanbul. Durante questa attesa entra in gioco una mistica figura che da qui in avanti chiameremo “Il Maestro”, un signore poliglotta che già avevamo intravisto sul treno per Sofia e che qui ci aiuta a interpretare l’ostico tabellone delle partenze; sarà fondamentale per gli equilibri futuri.
Il tragitto per Plovdiv trascorre rapido e indolore, tra sonno, ciocco-emergenze e la solita incompetenza dei controllori locali, che sembra non abbiano mai visto un biglietto interrail. Nella stazione di Plovdiv la situazione non migliora: i pochi impiegati che troviamo rasentano i minimi livelli di cordialità e veniamo rimbalzati da uno all’altro nell’incomprensibile lingua locale, ma con un chiarissimo fare scocciato.
A tirarci fuori dall’impasse è Ismael, un interrailer spagnolo di 26 anni che in poco tempo ha formato una bizzarra comitiva di viaggiatori, tanto che alla fine sembriamo una barzelletta vecchio stampo: ci sono tre italiani, quattro koreani, due danesi e uno spagnolo…
Andiamo tutti a Istanbul quindi socializzare è fin troppo facile. I koreani sono tutti fratelli, uno di 26 anni, una ragazza di 22 e due gemelli di 16. La bellezza orientale colpisce e in un istante siamo di nuovo tutti e tre innamorati. C’è poco da fare, comunque, la bella koreana ride e scherza, ma sembra un’intoccabile vestale, protetta oltretutto dal tempio dei fratelli maschi. Ismael è un dj di Madrid che sta attraversando l’Europa in solitaria. Il suo viaggio, come le sue parole, corre veloce verso Istanbul e la Grecia per poi approdare in Italia. Sembra sotto acidi e ci divertiamo a fare la sua conoscenza. Con i danesi scambiamo solo poche parole, perché si addormentano presto leggendo libri di Tom Clancy.
Il viaggio per Istanbul, scopriamo, sarà solo per un breve tratto in treno e poi proseguirà sui pullman. Saliti sul nostro vagone ci rendiamo conto che pressoché tutti i passeggeri sono lì per fare il nostro percorso. Perdersi è impossibile. Scesi alla stazione seguiamo la fiumana fino al pullman. Posiamo gli zaini mentre Casty va a prendere i posti. E ci riesce anche, se non fosse che siamo così gentiluomini da cederli alla giovane koreana e ad uno dei suoi fratelli. Restiamo in piedi con l’asiatico più anziano, aggrappati alle scalette che portano all’uscita del pullman. Casty trova posto vicino ad un’anziana signora che alla prima fermata scende, lasciando il sedile al nostro amico con gli occhi a mandorla.
Superata Dimitrovgrad si liberano altri due posti e Andrea e Siso ne approfittano su indicazione della controllora cicciona. Da qui in poi si dorme e basta, rischiando a intervalli regolari che la testa ci si stacchi dal collo. Pericolo non corso dal koreano che appoggia il capo sulla spalla del buon Casty. C’è del tenero.
Superiamo la frontiera bulgara e poi quella turca senza particolari problemi. A Kapikule cambiamo pullman trovandoci posti migliori, ma senza sciogliere l’allegra brigata formatasi a Plovdiv.
A svegliarci qualche ora più tardi sono solo l’alba e i minareti. 


domenica 3 agosto 2014

Giorno 5

Skopje-Nis-Sofia, 1/2 agosto 2014
Il quinto giorno comincia con gli insulti. Andrea ha russato, come era prevedibile, tenendo sveglia gran parte della camerata, compresi Casty e Siso (costretto, quest’ultimo, a dormire con 10 ore di wave crashing dalle cuffie dell’iPhone). Proprio da loro due, infatti, vengono gli insulti ad Andrea e non dai nostri compagni di stanza fin troppo educati verso di noi.
Chiacchieriamo un po’ con alcuni di loro, in particolare con un insegnante di matematica di Istanbul e con un enorme ragazzo koreano di cui non capiamo il nome.
Giriamo Skopje seguendo le indicazioni della guida per arrivare in centro. La capitale macedone ci dà subito la sensazione di essere una città totalmente in costruzione. Edifici bianchi e imponenti costeggiano il fiume, nel cui letto vediamo numerosi cantieri, così come vediamo travi e impalcature pressoché ovunque. Superiamo due ponti costruiti nel 2012, sui cui parapetti è possibile ammirare statue in bronzo di personalità antiche e contemporanee di un qualche valore culturale e storico per la città. Un posto speciale, però, è riservato ad Alessandro Magno, celebrato insieme al suo esercito con un’enorme statua eretta al centro di una piazza.
Seguendo lo sguardo del condottiero macedone attraversiamo il ponte di pietra, arrivando in una piazza altrettanto imponente dove giganteggia la figura in bronzo di un uomo che identifichiamo con Filippo, anche se non ne troviamo conferma. La quiete del mattino è squarciata da un fastidiosissimo fischio, probabilmente necessario a tener lontano i piccioni. Ok, funziona, ma santo cielo che mal di testa!
Arrivati nella città vecchia abbandoniamo mappe e guide, lasciandoci trasportare dai profumi e dai colori di negozietti e piccoli chioschi di cibo non facilmente identificabile. Proprio in uno di questi ci fermiamo a pranzare. Mangiamo una specie di torta rustica calda e ripiena di carne macinata sorseggiando uno squisito succo d’uva. Oh sì… Il piacere del pasto viene poi esaltato dal prezzo che il proprietario ci invita a pagare: 90 dinari in totale, ossia 1,50 euro. Oh sì…
Resistiamo, per ora, alla tentazione di trasferirci qui e, accompagnati dal canto delle moschee, proseguiamo il giro della città vecchia. Saliamo sulla fortezza per goderci il panorama, ma i lavori di restauro ci ostacolano  la vista.
Andrea adesso zoppica vistosamente e il dolore, dal piede, comincia a salire verso il polpaccio. Facciamo quindi dietrofront e, nella città nuova alle spalle di Alessandro, non fatichiamo a trovare un negozio di scarpe da ginnastica in cui risolvere il problema alla radice. L’acquisto è presto fatto e…Oh sì!
Con rinnovato spirito e nuove forze, torniamo nei vicoli aldilà del fiume. Veniamo catturati di nuovo dai profumi e ci ritroviamo seduti a consumare un secondo pranzo, ancora una volta ad un prezzo ridicolo per i nostri dannati standard. Mangiamo anche una pannocchia a testa prima di fare rotta verso l’ostello per riprendere le nostre cose e la nostra strada.
Al Backpackers’ Hostel facciamo una breve sosta e, dopo aver salutato, ci incamminiamo verso la terrificante stazione fantasma di Skopje. Attendiamo sulla banchina il treno, che è in ritardo. I programmi prevedono di arrivare a Nis, in Serbia, prima di proseguire verso Sofia, la capitale bulgara.
Il tragitto fino a Nis scorre tranquillo, disturbato solo da un controllore incompetente che ci piega e scarabocchia il biglietto InterRail, scatenando in particolare l’odio di Andrea e Siso.
Una bellissima ragazza serba si affaccia per chiederci se c’erano due posti liberi e, al nostro entusiasta “sì” ci fa segno di aspettare e scompare. Passiamo i secondi che seguono a darci un contegno, si direbbe quasi a farci belli se non puzzassimo così tanto. Ecco fatto: la vediamo ricomparire con il suo fidanzato, meno bello ma altrettanto serbo, e il morale finisce tra i binari e il treno. Arriviamo a Nis col timore, presto rivelatosi infondato, di essere troppo in ritardo per poter salire sul successivo verso Sofia.
Lì per lì siamo contenti di vederlo arrivare, coi suoi accecanti fari nella notte serba e il suo incedere meccanico e prepotente. Questo prima di salirci e scoprire che trascorreremo l’intero viaggio in piedi, stipati nel corridoio dell’ultimo vagone. Per il morale è morte clinica. Ci risolleva il fatto di essere capitati vicino ad una coppia con cui poter fare due chiacchiere. Sono Max e Olga, lei kazaka e lui di Busto Arsizio (seriamente), residenti a Praga. Hanno solo qualche anno più di noi, ma dieci giorni fa si sono sposati e ora stanno compiendo un viaggio lungo un anno fino alle terre vietnamite. Abbiamo anche un altro simpatico compagno di sventure, Goran, un gigante col mono sopracciglio visibilmente attratto da Siso. Abbiamo modo di constatare che la maggior parte dei presenti porta al braccio il laccetto degli interrailers e questo ci fa sentire in qualche modo tra amici. Tutto sommato, la notte e la mattina scorrono in fretta. Siamo pur sempre giovani e forti. Unico stress sono le mille soste apparentemente immotivate, oltre a quelle per il controllo documenti alla dogana costate il viaggio ad un gruppo di francesi con qualche irregolarità nei passaporti, costrette a scendere nella terra di nessuno.
Arriviamo a Sofia insonni e con le ragnatele addosso, ma il sole è alto nel cielo e ciò ci basta.


venerdì 1 agosto 2014

Giorno 4

Salonicco-Skopje, 31 luglio 2014

Se avessimo l'abitudine di dare a ogni giornata un titolo, questa si chiamerebbe "la giornata delle lezioni di vita".
Il nostro risveglio è addolcito dalla colazione continentale offerta dal RentRooms Hostel, che continua a scalare posizioni nella nostra speciale classifica del cuore; Casty gradisce particolarmente i salsicciotti, mentre Siso non si esime dal mangiarli nemmeno dopo averli conditi con abbondante cannella, scambiandola per paprika. Usciamo dall'ostello con le spalle scariche del fardello degli zaini lasciati nella locker room e ci apprestiamo a visitare la città. Prima di cominciare il tour della città ci documentiamo quanto basta sulla sua storia. L'ostello è in pieno centro, accanto ad alcune delle sue meraviglie non a caso di epoca romana: l'Arco di Galerio e la Rotonda. Dopo averli visitati ci dirigiamo al porto; nemmeno facciamo in tempo a vedere il mare che veniamo accerchiati da Chucky e la sua afro-gang. Tra toccate e complimenti ("you look like an actor!"), ci troviamo improvvisamente con tre braccialetti in più e qualche spicciolo in meno. C'è chi porta a spasso il cane, chi fa una passeggiata, e non manca ovviamente un losco figuro vestito da donna che fa le coccole ad un piccione afferrato con destrezza. La cosa ci destabilizza un pò, ma cerchiamo di superarla pensando a cose belle. Ci spalmiamo addosso dell'aloe vera appena comprata per placare il senso di bruciore che avvertiamo su svariate parti del corpo. Oh sì...
Ci spostiamo in cerca di un posto dove comprare un pranzo economico e presto troviamo un Carrefour. Economico sì, commestibile forse no. Prima lezione della giornata: in questa zona del mondo conviene lo street food, fanculo i supermercati. Mangiamo all'ombra di un albero pieno di piccioni, in un parco pieno di tossici. Pessima idea, davvero. Un piccione defeca sulla spalla di Siso e un tossico ci si avvicina indicando la busta vuota di una siringa che tiene nella mano sinistra. La giornata stenta a decollare. Proseguiamo il giro della città, buttando un occhio all'antica Agorà romana. Andrea comincia a patire l'inadeguatezza delle scarpe che indossa, la pianta del piede destro è in gran parte viola e ogni passo è una tortura. Seconda lezione di vita: mai portare un solo paio di scarpe in InterRail.
Fermi su un marciapiede veniamo avvicinati da un simpatico e baffuto signore, Emilio, che in italiano ci spiega la storia della chiesa situata a pochi metri da noi, e passa dal raccontarci la storia della città allo spiegarci il suo punto di vista geo-politico. Parla di mafia internazionale, ma poi aggiunge un "senza offesa" che gradiamo particolarmente. Ci congediamo dal buon Emilio quando arriva il suo autobus ed entriamo nella chiesa, trovando con nostro disappunto le catacombe chiuse. Facciamo rotta verso la Torre Fortificata, ma ci rendiamo conto che le lancette corrono e la distanza dalla Torre non ci permette di neanche di vederla: siamo quindi costretti a tornare in ostello a riprendere gli zaini, salutare Emily, e tornare in strada in cerca di un taxi verso la stazione dei treni. Arrivati alla stazione, parliamo con un impiegato della biglietteria e sobbalziamo alle parole: "There are no trains for Skopje today." E' andata così. Terza lezione di vita: controllare gli orari dei treni per tempo. Ci scuotiamo dal trauma e decidiamo di prendere un pullmann, costa di più, ma serve al suo scopo. Il viaggio scorre tranquillo tra letture, musica e panorami, interrotto solo dal controllo documenti della dogana.
A Skopje la pioggia ci dà il benvenuto, e dopo esserci informati sul treno che prenderemo domani nella spettrale stazione poco distante ci dirigiamo all'ostello.
Lì ci accolgono Nenad e la sua donna. L'atmosfera è quasi familiare e concilia il sonno che in poco tempo ci cattura. Poveracci i nostri compagni di stanza che ancora non conoscono i notturni concerti animaleschi del naso di Andrea.