giovedì 16 agosto 2012

Giorno 11

Knivskjellodden-Honningsvag, 11 agosto 2012

La giornata comincia prestissimo: alle 4 di notte ci sveglia la tempesta. Il forte vento piega minacciosamente la tenda verso l’interno. Entra qualche spiffero, ok, ma non c’è spazio per il panico! Il Nero esce per valutare la situazione. Il mare poco lontano si infrange sugli scogli con forza dirompente, il vento trascina con velocità impressionante l’enorme mole di nuvole nere e grigie che copre tutto il cielo. Niente da fare, per ora, se non la colazione. Aspettiamo sperando che le raffiche si plachino, ma a intervalli sempre minori la tenda continua a schiacciarci fino quasi a soffocarci. Stringiamo i denti e prepariamo tutto l’equipaggiamento, per poter abbandonare la tenda in caso di necessità. Il freddo aumenta e controlliamo di nuovo. Una nebbia inquietante è scesa tutto intorno a noi. Nordkapp è avvolto in una nuvola. Aspettiamo ancora, stavolta contando le provviste che abbiamo (misura in realtà assolutamente inutile, ma fa fico). Acquazzoni di pioggia leggera vanno e vengono su di noi. La situazione è tragicomica. Ieri c’era un sole assurdo, cazzo! La prendiamo con filosofia e, quando la pioggia definitivamente si placa, decidiamo di affrontare il vento e la nebbia. Ripiegare la tenda non è mai stato così difficile. Il vento la gonfia a tal punto che Siso suggerisce di andare via volando. Le lepri fuggono davanti ai nostri occhi. L’apocalisse sembra vicina. Dopo una serie di esercizi di agilità, pazienza e forza bruta riusciamo a chiudere ‘sta maledetta tenda. Ora si torna indietro.
Una persona normale a questo punto potrebbe pensare che se all’andata la difficoltà del percorso cresceva, al ritorno debba diminuire. Cazzate. Il vento complica, ma per fortuna non impedisce, il tragitto quasi verticale sugli scogli. La pioggia ha trasformato tutto in fango, rendendo così instabili la maggior parte dei massi a terra. La discesa di ieri è oggi (com’era assolutamente prevedibile) una salita. Gli zaini tentano continuamente di farci cadere all’indietro, ma invano. Il resto del percorso è quasi tutto in salita, il fango prova a spaccarci caviglie e ginocchia ad ogni passo, rocce ingannevoli ci fanno lo sgambetto. Si va avanti, mai domi. Arrivano ancora fortissime raffiche di vento. L’acqua è finita e beviamo insieme alle renne dal vicino fiumiciattolo. Incrociamo 3 italiani che vanno in direzione opposta alla nostra e scopriamo che nel loro campeggio si parlava di noi: Gli avventurieri incrociati il giorno prima, a quanto pare, avevano raccontato di due italiani fuori di testa che hanno voluto dormire proprio a Knivskjellodden! Ci salutiamo al grido di “Viva l’Italia” e proseguiamo nelle diverse direzioni. La nebbia cala di nuovo su di noi e procediamo quasi alla cieca. Proprio quando sembra che qualcuno abbia spostato durante la notte la strada in Nicaragua, all’orizzonte si intravedono i fari di una macchina. Ce l’abbiamo fatta. Fa un freddo incredibile e dopo aver mangiato scarti di mucca in scatola cominciamo a pensare a come tornare a Honningsvag. Nel parcheggio vediamo la macchina dei tre italiani incontrati poco prima quindi, alle brutte, avremmo aspettato il loro ritorno. Nel frattempo, nel freddo gelido e avvolti dalla nebbia ci accostiamo alla strada con il pollice alzato. A un passo dalla disperazione, pieni di fango, stanchi, affamati e infreddoliti. Passano una, dieci, cento macchine. Niente. Sembrano usciti da un sogno la coppia di austriaci a bordo di una Toyota Auris che accostano. Lui si chiama Harry, diminutivo di qualcosa di complicato, il nome di lei ancora una volta ci sfugge (capiamo Svendana, ma nutriamo dei forti dubbi a riguardo) e questo è un peccato, perché lei era davvero, ma davvero bella. Che uomo fortunato, Harry. Sono molto gentili con noi, allungano un po’ per portarci a destinazione e nel tragitto ci offrono anche parecchi biscotti alla crema. Offerti da Svendana, poi, sono ancora più buoni.
A Honningsvag facciamo una spesa che si rivelerà in seguito la più idiota nella storia della spesa umana. Di fronte al supermercato compare, visione celestiale, un ostello: Guesthouse Nordkapp. Ci affrettiamo a prendere una stanza per due. Ci accoglie una ragazza talmente brutta da compensare, nel bilancio giornaliero, la bellezza austriaca. Ci dà le chiavi di una stanza che in realtà è una quadrupla divisa a metà, ma con un solo ingresso. Consumiamo un’orrenda cena, prodotto di un’orrenda spesa. Per futura memoria, a proposito, “Torske Rogn” significa “uova di merluzzo”…delicatissimo!
Già in mutande a goderci i nostri materassi, la ragazza della reception entra in camera (machecazz..) per informarci che arriverà gente nell’altra metà della stanza. Arriva poco dopo una coppia di motociclisti spagnoli. Lei parla qualcosa di italiano e dimostra di voler conversare. Presto, chissà come, capisce che non è aria. Il Nero è visibilmente avvelenato. Non con loro, ovviamente, ma con quel mostro che gestisce il posto, e le promette inestinguibile e incondizionato odio. La stanchezza, comunque, è troppa per potersi arrabbiare bene e presto sprofondiamo nel sonno. Siamo anche troppo stanchi per sognare.


Andrea e Silvano


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