La giornata comincia prestissimo: alle 4 di notte ci sveglia
la tempesta. Il forte vento piega minacciosamente la tenda verso l’interno.
Entra qualche spiffero, ok, ma non c’è spazio per il panico! Il Nero esce per
valutare la situazione. Il mare poco lontano si infrange sugli scogli con forza
dirompente, il vento trascina con velocità impressionante l’enorme mole di
nuvole nere e grigie che copre tutto il cielo. Niente da fare, per ora, se non
la colazione. Aspettiamo sperando che le raffiche si plachino, ma a intervalli
sempre minori la tenda continua a schiacciarci fino quasi a soffocarci.
Stringiamo i denti e prepariamo tutto l’equipaggiamento, per poter abbandonare
la tenda in caso di necessità. Il freddo aumenta e controlliamo di nuovo. Una
nebbia inquietante è scesa tutto intorno a noi. Nordkapp è avvolto in una
nuvola. Aspettiamo ancora, stavolta contando le provviste che abbiamo (misura
in realtà assolutamente inutile, ma fa fico). Acquazzoni di pioggia leggera
vanno e vengono su di noi. La situazione è tragicomica. Ieri c’era un sole
assurdo, cazzo! La prendiamo con filosofia e, quando la pioggia definitivamente
si placa, decidiamo di affrontare il vento e la nebbia. Ripiegare la tenda non
è mai stato così difficile. Il vento la gonfia a tal punto che Siso suggerisce
di andare via volando. Le lepri fuggono davanti ai nostri occhi. L’apocalisse
sembra vicina. Dopo una serie di esercizi di agilità, pazienza e forza bruta
riusciamo a chiudere ‘sta maledetta tenda. Ora si torna indietro.
Una persona normale a questo punto potrebbe pensare che se
all’andata la difficoltà del percorso cresceva, al ritorno debba diminuire.
Cazzate. Il vento complica, ma per fortuna non impedisce, il tragitto quasi
verticale sugli scogli. La pioggia ha trasformato tutto in fango, rendendo così
instabili la maggior parte dei massi a terra. La discesa di ieri è oggi
(com’era assolutamente prevedibile) una salita. Gli zaini tentano continuamente
di farci cadere all’indietro, ma invano. Il resto del percorso è quasi tutto in
salita, il fango prova a spaccarci caviglie e ginocchia ad ogni passo, rocce
ingannevoli ci fanno lo sgambetto. Si va avanti, mai domi. Arrivano ancora
fortissime raffiche di vento. L’acqua è finita e beviamo insieme alle renne dal
vicino fiumiciattolo. Incrociamo 3 italiani che vanno in direzione opposta alla
nostra e scopriamo che nel loro campeggio si parlava di noi: Gli avventurieri
incrociati il giorno prima, a quanto pare, avevano raccontato di due italiani
fuori di testa che hanno voluto dormire proprio a Knivskjellodden! Ci salutiamo
al grido di “Viva l’Italia” e proseguiamo nelle diverse direzioni. La nebbia
cala di nuovo su di noi e procediamo quasi alla cieca. Proprio quando sembra
che qualcuno abbia spostato durante la notte la strada in Nicaragua, all’orizzonte
si intravedono i fari di una macchina. Ce l’abbiamo fatta. Fa un freddo
incredibile e dopo aver mangiato scarti di mucca in scatola cominciamo a
pensare a come tornare a Honningsvag. Nel parcheggio vediamo la macchina dei
tre italiani incontrati poco prima quindi, alle brutte, avremmo aspettato il
loro ritorno. Nel frattempo, nel freddo gelido e avvolti dalla nebbia ci
accostiamo alla strada con il pollice alzato. A un passo dalla disperazione,
pieni di fango, stanchi, affamati e infreddoliti. Passano una, dieci, cento
macchine. Niente. Sembrano usciti da un sogno la coppia di austriaci a bordo di
una Toyota Auris che accostano. Lui si chiama Harry, diminutivo di qualcosa di
complicato, il nome di lei ancora una volta ci sfugge (capiamo Svendana, ma
nutriamo dei forti dubbi a riguardo) e questo è un peccato, perché lei era
davvero, ma davvero bella. Che uomo fortunato, Harry. Sono molto gentili con
noi, allungano un po’ per portarci a destinazione e nel tragitto ci offrono
anche parecchi biscotti alla crema. Offerti da Svendana, poi, sono ancora più
buoni.
A Honningsvag facciamo una spesa che si rivelerà in seguito
la più idiota nella storia della spesa umana. Di fronte al supermercato
compare, visione celestiale, un ostello: Guesthouse Nordkapp. Ci affrettiamo a
prendere una stanza per due. Ci accoglie una ragazza talmente brutta da
compensare, nel bilancio giornaliero, la bellezza austriaca. Ci dà le chiavi di
una stanza che in realtà è una quadrupla divisa a metà, ma con un solo
ingresso. Consumiamo un’orrenda cena, prodotto di un’orrenda spesa. Per futura
memoria, a proposito, “Torske Rogn” significa “uova di merluzzo”…delicatissimo!
Già in mutande a goderci i nostri materassi, la ragazza
della reception entra in camera (machecazz..) per informarci che arriverà gente
nell’altra metà della stanza. Arriva poco dopo una coppia di motociclisti
spagnoli. Lei parla qualcosa di italiano e dimostra di voler conversare.
Presto, chissà come, capisce che non è aria. Il Nero è visibilmente avvelenato.
Non con loro, ovviamente, ma con quel mostro che gestisce il posto, e le promette inestinguibile e incondizionato odio. La
stanchezza, comunque, è troppa per potersi arrabbiare bene e presto
sprofondiamo nel sonno. Siamo anche troppo stanchi per sognare.
Andrea e Silvano
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